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I genitori di Bergamo: «Dimenticare queste terre ferite sarebbe una mancata opportunità»

Prosegue il forte legame di solidarietà tra Bergamo e Amatrice. Una delegazione della scuola “Caterina e Giuditta Cittadini” di Ponte San Pietro è tornata a Rieti donando un altro cospicuo tassello per la rinascita di Amatrice, e tornando a casa con un altro bagaglio di ricordi e sensazioni.

Prosegue il forte legame di solidarietà tra Bergamo e Amatrice. Una delegazione della scuola “Caterina e Giuditta Cittadini” di Ponte San Pietro è tornata a Rieti donando un altro cospicuo tassello per la rinascita di Amatrice, e tornando a casa con un altro bagaglio di ricordi e sensazioni, raccontante direttamente dai protagonisti.

«Ogni evento drammatico pone in modo deciso il tema dell’uomo, della sua natura, della sua esistenza, dei suoi limiti, della sua ricerca perenne, quotidiana, quasi inconscia, di senso. Un dramma porta con sé, oltre ai lutti, l’impossibilità di sottrarsi alle domande vere che ciascuna vita contiene. La consapevolezza aumenta di giorno in giorno e indica che la riparazione possibile è forse quella che abita nelle relazioni. Nell’immediatezza, le esigenze più superficiali – sebbene importanti – hanno probabilmente trovato facili – o più facili – soluzioni: i beni di prima necessità, l’abbigliamento, il posizionamento di alcune strutture sono stati importanti bisogni esauditi. Oggi, a due anni e passa dal sisma, questi bisogni rimangono quelli non fondamentali. Gli “altri”, quelli che richiamano alle domande vere di ciascuna vita, sono ancora in cerca di compimento, richiedono molto tempo, tanta attenzione e, soprattutto, vicinanza, amicizia, solidarietà umana: in una parola richiedono relazioni. Questi drammi impongono a tutti di farsi prossimi, di farsi vicini».

È per questo e per molto altro che il legame stretto tra Bergamo e Rieti ed Amatrice prosegue, non solo nel corso delle visite reciproche, ma anche durante l’anno, tramite messaggi, mail, foto condivise della quotidianità di ognuno. «Oggi – racconta la delegazione giunta per la seconda volta ad Amatrice – l’impatto visivo con la realtà di quelle terre pone all’occhio alcuni lievi miglioramenti. Si vedono meno macerie di prima, anche se, nel profondo, permangono e sono evidenti le ferite più dolorose: la solitudine, il senso di smarrimento, il ricordo di una vita.

Amatrice rischia di apparire oggi come il luogo del non tempo nel quale il passato vive sotto le macerie e il futuro non riesce ancora ad essere pensato. Ma Amatrice è anche un luogo vivo che vuole ancora palpitare, ma non può farlo senza la “presenza” di aiuti esterni. In questo nostro secondo viaggio, abbiamo dato continuità e flessibilità ai progetti condivisi, mantenendo i patti di trasparenza del cammino, consolidando i legami della solidarietà, la co-costruzione della speranza di un futuro accogliente». Questi gli obiettivi e le attese della seconda “missione” di dieci genitori della “Casa Gialla” a Rieti e ad Amatrice. Ragazze e ragazzi delle classi quinte dello scorso anno scolastico avevano scelto di ”occuparsi” di un futuro accogliente non solo per sé, ma anche per chi abiterà una terra prostrata da condizioni difficili, in apnea di speranza e serenità. Loro hanno consegnato, a genitori, insegnanti, nuovi alunni e alunne, alla comunità tutta, il sogno e l’impegno per un asilo nido da costruire nel paese terremotato, investendo dunque in un progetto di educazione, responsabile e quindi solidale. Per far ciò, a Bergamo si sono dati da fare fin da subito. Prima con una mostra di disegni in concomitanza con la presentazione del libro “Gocce di memoria”, poi con un grande concerto, e ancora con marce di solidarietà, eventi, idee di sostegno psicologico e non, aiuti materiali. L’incontro con il vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili, ha permesso di rimodulare condizioni e processi realizzativi del progetto per renderlo davvero obiettivo praticabile e motivante, oltre che a comprendere meglio come verranno finalizzate le risorse economiche. «Questi “viaggi” hanno creato legami, hanno creato amicizie e relazioni con singole persone che sono state toccate da dolori profondi, ma che non hanno “chiuso” lo scrigno della loro interiorità. L’amicizia con “Amatrice”, che per noi significa amicizia con don Domenico, Valerio, Sabrina e Sergio, ci ha fatto fare esperienza dell’importanza delle relazioni ma, soprattutto ci ha dato la prova che, nella vita, lo straordinario è, davvero, nella normalità. Nessuno di noi si sarebbe mai aspettato che da un “pensiero” sarebbe potuto nascere ciò che è oggi questa nostra amicizia. Abbiamo imparato che se non avessimo seguito quel pensiero, se non avessimo avuto il coraggio di approfondire quell’intuizione che poteva forse apparire anche banale oppure se l’avessimo ritenuta troppo difficile da realizzare, non saremmo qui, oggi, a scrivere questa lettera. Vedendola da fuori, questa nostra amicizia può avere il sapore di qualcosa di straordinario: come è straordinario sottrarre tempo al lavoro e alla propria famiglia per donarlo agli altri, anche molto lontani fisicamente; è straordinario investire il proprio fine settimana per effettuare un lungo viaggio, senza alcuno scopo ricreativo. Straordinario è continuare a pensare a iniziative che possano coinvolgere le famiglie della scuola nella solidarietà, o scrivere tutti i giorni e anche più volte al
giorno a Valerio, Sabrina e a Sergio. Ebbene abbiamo capito che tutto ciò è, per noi, semplicemente ordinario, è la nostra normalità. Non perché “siamo bravi”, ma semplicemente perché abbiamo fatto esperienza diretta di un bene, di un legame che, in fondo, davvero tutti ci unisce e che
rappresenta, la salvezza.

Ci siamo commossi osservando il cartello stradale che indicava il paese di Amatrice, posto prima dei tornanti che arrivano a quello che una volta era il cuore del paese.

Abbiamo percepito orgoglio e dignità negli abitanti che, inevitabilmente, hanno perso qualche caro.
Persone coraggiose, il cui dolore viene accentuato anche dalla situazione precaria in cui vivono, che sono pronte a ricominciare in questa terra tanto amata nonostante l’amarezza e la solitudine.

La nostra visita aveva l’obiettivo primario di non far sentire i nostri amici abbandonati. Sì, perché non basta essere presenti nell’immediato, ma bisogna continuare a coltivare il rapporto e a sostenere questo nostro progetto di solidarietà iniziato due anni fa nonostante possa essere una piccola goccia nel grande mare di macerie.

Noi, tutti e ciascuno, siamo parte di questa comunità: e dimenticarlo
sarebbe una mancata opportunità».

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