Amatrice, In primo piano

Un ponte tra passato e futuro

È stata una gita emozionante quella degli ex seminaristi di Anagni tra i monti della Laga. Il gruppo, giunto lo scorso sabato, ha vissuto in maniera intensa il contrasto tra la bellezza del paesaggio e la dura realtà del terremoto. Insieme al vescovo Domenico e al parroco don Adolfo, a guidare il gruppo sono state le testimonianze degli operatori che ruotano attorno alla Caritas

È da ex alunno che il vescovo Domenico ha accolto ad Amatrice un numeroso gruppo di persone legate al seminario di Anagni, giunto nel borgo colpito da sisma per vivere un incontro sul filo della partecipazione e della solidarietà. Ad accogliere gli ex seminaristi, insieme a mons Pompili, è stato don Adolfo, sacerdote chiamato a succedere allo scomparso don Angel nella cura pastorale della popolazione.

Testimonianze dalla Caritas

La testimonianza di Claudia, una giovane mamma di Amatrice, ha offerto agli ex seminaristi la misura della situazione: il dramma delle prime ore, la fase concitata dell’emergenza e dei soccorsi, la straordinaria solidarietà da tutto il Paese, la lunga attesa di una ricostruzione che tarda ad arrivare. E poi la centralità dell’azione della Chiesa, a partire dal Centro Caritas edificato nell’area del “Don Minozzi” che ha ospitato l’incontro: un «punto di luce del territorio», ha detto Claudia, spiegando che attorno ai moduli provvisori «ruota la vita di Amatrice». Il terremoto ha spazzato via i luoghi di ritrovo e il polo messo insieme da Caritas fa da sfondo alle attività sportive, serve da centro anziani, ospita i ragazzi per le attività del pomeriggio e del centro estivo. Al centro di tutto c’è la relazione: «a poche ore dal terremoto in tanti sono venuti ad Amatrice da ogni città d’Italia e ci hanno accompagnato; si sono create amicizie stupende con persone che ci hanno dato il coraggio di rimanere e di metterci in gioco» in un contesto «paradossale e surreale».

Giovani resistenti

Anche Francesco, 22 anni, operatore Caritas, è di Amatrice e ha vissuto i giorni difficili dei crolli e dei morti, il modo in cui il sisma ha moltiplicato i problemi: «tanti dei miei amici sono andati via perché non c’è lavoro – ha raccontato – io credo che se i giovani si mettono in gioco Amatrice può rinascere».

Superare la solitudine

Le cose da fare non mancano, ma per prima cosa bisogna rispondere alla solitudine, soprattutto quella vissuta dalle persone nelle frazioni, dalle quali è difficile spostarsi. Anche perché una fetta consistente della popolazione è avanti con gli anni, come ricordato da Sonia, un’altra mamma innamorata del territorio, pur guardando con preoccupazione al tempo in cui sua figlia di 8 anni sarà adolescente. «I bisogni della gente si sono modificati, c’è tanto bisogno di parlare in tutti, ognuno di noi ha la necessità di dire la propria esperienza, di tirare fuori un fiume di parole», aggiunge Lucia, in forza alla Caritas parrocchiale già da prima del terremoto.

Dalla parrocchia alla comunità

Per il mese mariano in parrocchia si è deciso vivere la preghiera del rosario nelle varie Sae, per dare un ulteriore segno di vicinanza alle persone che faticano a muoversi. «La risposta della gente è abbastanza positiva – dice don Adolfo – ci incoraggiano e ci danno una mano perché vogliono di nuovo Amatrice. Soprattutto i ragazzi di Caritas, che lavorano davvero con il cuore».

Alla ricerca di risposte concrete

Alle testimonianze, che hanno certamente fatto breccia nel cuore dei visitatori, si è aggiunta la riflessione del vescovo, che in quelle parole ha trovato semi di speranza per la ricostruzione. Senza però nascondere il timore che l’ascolto delle istanze da parte dello Stato riesca inconcludente. Di fronte all’alternarsi di governi e commissari, si rischia che gli impegni si risolvano in una pura dichiarazione di intenti. Nel nostro Paese «le emergenze scoppiano, hanno una grande visibilità per alcuni mesi e poi cadono nell’oblio» proprio quando sarebbe maturo il tempo per le risposte concrete. La prima necessità sono le infrastrutture: le strade come la Salaria, che congiungono più territori, ma anche le strade digitali, che permetterebbero anche alle aree interne di tenere il passo dei tempi. Il lavoro è cambiato: «non c’è niente di più facile che uno possa vivere da una parte e lavorare da un’altra» e una ricostruzione intelligente non può evitare di tenere conto di questi mutamenti, anche perché l’occupazione è una condizione necessaria alla permanenza delle persone e delle famiglie.

Alzare lo sguardo­

Accanto a questo resta il tema dei beni culturali, e quindi delle chiese: «quando non ci sono, ci si rende conto di quanto siano importanti come collante sociale; non sentire più le campane è elemento di depressione». Dunque è un bene rendere agibili o ricostruire gli edifici di culto, almeno quanto dare case a chi non intende mollare: vuol dire avere capacità di guardare lontano. In fondo è «l’invito a sollevare lo sguardo la cosa bella di questi luoghi», ha concluso il vescovo, affidando gli ex seminaristi al panorama dei monti della Laga.

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