«Sono assessore regionale al Turismo e alle Pari Opportunità – ha esordito Giovanna Pugliese – e questo evento mi è sembrato un ottimo modo per conciliare entrambi i campi di azione. «È un progetto comunitario, pensato insieme a tante realtà: dalle colleghe della giunta Zingaretti, dalle Misercordie d’Italia, dalle associazioni di donne e dalle rappresentanze di donne imprenditrici: un’idea voluta e sviluppata per tenere insieme sia la sensibilità cattolica che quella laica: a partire dal riferimento di Maria, e dal culto mariano molto forte nella nostra regione».
“Con Maria. In cammino con l’Arte, la Bellezza e la Cultura nel Lazio” è un progetto nato da lontano e che abbraccia numerosi aspetti artistici, sociali e comunitari del centro Italia. Uniti dal filo rosa che solo le donne sanno legare al meglio, e a partire dal culto della donna per eccellenza, la Madonna, Colei che qualsiasi donna di questo mondo può imitare.
Nel fresco pomeriggio di venerdì 7 agosto, il progetto voluto dalla Regione Lazio ha preso avvio da Amatrice, con i saluti istituzionali degli assessori Pugliese, Sartore e Di Berardino e del sindaco di Amatrice Antonio Fontanella. «All’inizio avevo perplessità perchè era un’iniziativa senza’altro complicata, ho fatto fatica a comprenderla», ha detto il primo cittadino. «Poi ci ho riflettuto su ed ho capito che era una cosa veramente importante, ammirevole, che mette insime tante sensibilità e unisce tante probelmatiche su cui è bene lasciare accesi i riflettori.
Ma nell’auditorium en plein air creato nello spazio antistante la Caritas non c’erano solo le autorità, ma anche tanti cittadini comuni. Fulcro del pomeriggio, la lectio magistralis del vescovo Domenico, incentrata sulla figura della Madonna.
Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio, tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ‘l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Parte dal paradiso di Dante monsignor Pompili, «perché opera una congiunzione che sembra diventata impossibile oggi: in Maria di Nazareth mette insieme – senza imbarazzo – non soltanto la vergine e la madre, ma più radicalmente la donna e la madre. Oggi, sembra, infatti, che si tratta di dover scegliere: o si è donna o si è madre; quasi una variante – mi si permetta l’impertinenza – di un’altra stucchevole alternativa al femminile: o sei carina o sei intelligente?»
«Guardando a Maria di Nazareth – ha proseguito il vescovo – vorrei far emergere una persuasione, che ho peraltro riscontrato nella mia esperienza della madre, che mi autorizza ad addentrami, ad inoltrami nel mistero dell’altro da me. La persuasione, anzi, la mia convinzione è presto detta: non si è compiutamente donne se non si desidera essere madri (non necessariamente facendo figli), ma più radicalmente, non si può essere madri vere senza essere donne compiute. Detto in modo più esplicito: una donna non può aprire il suo corpo ai figli, consentendo loro di amare la vita, se non è in grado di accoppiarsi eroticamente, in modo profondo e non in superficie, con il suo uomo. La passione amorosa non è poca cosa per la donna, sta al centro del suo modo di essere. Ne segue che la sua realizzazione come cittadina e lavoratrice non è in contraddizione con questo, ma ne deriva e ciò pone all’arrivismo maschile un argine».
«La storia del re Salomone, è un racconto drammatico che introduce alla madre che è prima ancora donna. E la maternità non è tutto. Un giorno andarono dal re due donne che abitavano nella stessa dimora e che da poco erano diventate madri entrambe. Si presentarono dinnanzi a lui e una disse che il figlio della ragazza che l’accompagnava era morto durante la notte perché questa vi si era addormentata sopra e che questa aveva posto su di lei, mentre dormiva, il figlio morto, prendendo invece quello vivo. L’altra donna replicò che non era vero, che il figlio morto non era dell’altra e che non vi era stato alcuno scambio. Allora il re ordinò di farsi portare una spada e disse che avrebbe tagliato a metà il figlio vivo e che avrebbe dato una parte all’una e un’altra parte all’altra. La madre del bambino si rivolse al re dicendo in lacrime di dare il bambino all’altra donna, mentre l’altra rispose che il bambino non doveva essere di nessuna delle due e doveva essere diviso a metà. Il re disse: Date alla prima il bambino vivo. Questa è sua madre».
«Questo racconto spiega come la funzione materna, non patologica, preferisca la vita del figlio senza proprietà rispetto alla morte di questo. Questi sono due aspetti della maternità, una madre che soffoca, schiaccia il figlio e il suo desiderio, quella che si definisce la mamma “chioccia” che vuole sempre i suoi figli con sé, o quella che Lacan definisce la mamma “coccodrillo”, che finisce per ingoiare suo figlio. Il rischio della maternità è questo, la completa fusione, l’assenza di identità. È proprio in questa fase che occorre il padre, con la sua funzione di porre delle regole. Il bastone che va messo tra le fauci del coccodrillo è il Nome del Padre che impedisce al figlio di morire, evita l’incesto, ed impedisce che questo venga completamente assorbito dal materno.
Non solo serve il padre per evitare la morte matricida del figlio, ma occorre che la madre si ricordi di essere anche donna, la funzione materna non può uccidere l’essere donna. Lo scontro sembra essere un po’ quello tra Maria, madre per eccellenza nella visione patriarcale, una versione socialmente accettata, benefica e positiva, ed Eva, incarnazione per l’ideologia patriarcale di una donna cattiva, peccaminosa, lussuriosa. Dominava dunque una visione della donna schizoide e manichea, dove la donna era il male e la madre era il bene. Ora questa visione, con la libertà sociale e sessuale acquisita dalle donne, è venuta meno, anzi è stata radicalmente sovvertita; le donne oggi lavorano e hanno sempre meno tempo da dedicare ai propri figli. Va rimarcato che è proprio l’assetto sociale attuale che sancisce questa bipartizione tra donna e madre e la loro completa scissione, al punto che nell’ipermodernità la maternità è vissuta come un handicap alla propria affermazione sociale. L’integrazione di queste due anime del femminile, della donna e della madre è, dunque, necessaria, poiché l’una senza l’altra sono destinate a fallire. La loro convivenza dinamica rende la funzione materna attiva nel processo di affiliazione e di umanizzazione della vita. Nel suo desiderio la donna salva il bambino, non nell’essere in completa simbiosi e fusione, ma nel fatto che, non solo la madre, ma anche la donna abbia un desiderio che vada al di là della maternità; il bambino ha bisogno della presenza, ma allo stesso tempo dell’assenza della madre».
«Tre sono i tratti fondamentali della madre che si ricavano dal suo essere donna: le mani, il volto e il seno», conclude monsignor Pompili.
«Le mani materne sono mani che trattengono la vita nella vita, sono mani che non abbandonano, ma che, anzi, ci afferrano nell’attimo in cui percepiamo la caduta nel vuoto. Le mani della madre sono di per sé già un linguaggio, certamente non alfabetico, ma, come dice Lacan, nello sviluppo della soggettività non c’è un tempo che ha preceduto il linguaggio e poi un tempo che segnala l’accesso al linguaggio».
«Il secondo tratto fondamentale è il volto. La nostra esplorazione del mondo è stata soprattutto, da principio, esplorazione del volto della madre, ed in verità ci siamo potuti guardare, per ciò che siamo, solo attraverso lo sguardo della figura materna. L’incontro con lo sguardo materno, dunque, fonda la nostra immagine e l’amabilità o meno della stessa: il volto materno è ciò che ci consente di vederci per quello che siamo. Ma non basta. Il volto della madre non è solo percezione e riflesso di noi stessi, è qualcosa di più importante: un bambino attraverso il viso della mamma incontra il viso del mondo, ossia il viso della madre apre o chiude il viso del mondo. L’angoscia dipinta nello sguardo materno si trasferirà immancabilmente anche in quella del figlio, che non sarà in grado di approcciarsi serenamente alla realtà esterna. Se la mamma, dunque, osserva il figlio ancora piccolo con occhi di paura e di ansia, il bambino crescerà nel pianto e nel terrore. Viceversa, se il volto materno si aprirà in un sorriso incoraggiante, il bambino sarà spinto, serenamente, ad esplorare il mondo con curiosità e audacia».
«Il terzo ed ultimo punto focale è il seno, come elemento che la madre ha da offrire al bambino e che risponde al bisogno di cure che il figlio richiede al proprio genitore. Con il seno la madre soddisfa il bisogno di nutrimento del figlio, ma il tratto essenziale che si rivela dietro il seno non è solo questo: il seno si trasforma in segno quando la madre, offrendolo al piccolo, non lo usa semplicemente per soddisfarne le necessità fisiche, ma diventa simbolo necessario per confermare la presenza della madre. Il segno della presenza della madre altro non è che il segno della presenza del suo amore, donata attraverso il seno. Uno sdoppiamento fondamentale della figura della madre. La madre sufficientemente buona è la madre che non dimentica la donna, ma ne viene attraversata e rigenerata. Bisogna riconoscere che anche nella storia della fede a proposito di Maria si è assistito ad una progressiva riduzione della femminilità e della carnalità della donna a favore di una spiritualizzazione ed evanescenza della figura di Maria».
In conclusione, monsignor Pompili si sofferma su un riferimento cinematografico, tratto dal film Mia madre, di e con Nanni Moretti.
«Nella pellicola la mamma è una professoressa di latino. La generazione che segue alla sua smarrisce il senso di questa materia scolastica e la successiva smette di studiarla quasi completamente, nonostante l’affetto così saldo per la nonna. Si tratterebbe, quindi, del distacco della società italiana dal retaggio materno della sua cultura umanistica,, così come è stata vissuta nel Novecento dalla borghesia. La morte di questa particolare madre simbolica, travolge i figli completamente, svuotati, nel lavoro e nella vita personale, mentre lei, la madre in procinto di morire, è l’unica a poter articolare seppure a fatica, la parola “domani” con cui il film si conclude. Una morte che lascia un vuoto incolmabile a fronte di un’impossibilità di tramandare e passare il testimone? La domanda è aperta e lasciata alla vicenda di ciascuno».
«Allora comprendiamo perché Maria, la donna, anzi la Madonna, sia per credenti e non credenti un “segno” da decifrare: è nel nome della donna che è madre, infatti, che si inaugura la vita e la si trascende per sempre».