Alessandra Daniele

Ripensare alla ricostruzione materiale e sociale: anche Accumoli ha ricordato le sue vittime

Nel giorno dell’anniversario del sisma, anche la popolazione di Accumoli ha ricordato le vittime con una messa all’aperto nella piazza del nuovo centro abitato. Ad Accumoli, in cui sono venute a mancare 11 persone, la ricostruzione sembra essere ancora molto lenta, ma ci sono segni di positività.

«Dopo le vicende legate alla pandemia, all’aumento dei prezzi e alle difficoltà burocratiche, siamo finalmente dentro il bilancio dell’azione della ricostruzione» ha dichiarato l’assessore Claudio Di Berardino. «Con l’approvazione del piano straordinario della ricostruzione stiamo imboccando la strada della rinascita del centro storico il che non significa che stia andando tutto bene – ha continuato – ma ci dona lo stimolo per continuare a lavorare nella più stretta collaborazione istituzionale, pensando non solo alla ricostruzione materiale ma anche economica e sociale».

«Anche qui vogliamo dire grazie a quanti nell’immediato di quel tragico 24 agosto chi hanno dato una mano» ha esordito il vescovo Domenico in occasione della messa, che ha coinvolto la partecipazione della popolazione, delle istituzioni, del coro e dell’Accademia Vicino di Accumoli.

«Qui sembra di essere in un contesto ancora più marginale – ha proseguito don Domenico – in cui la domanda che sorge spontanea è: ad Accumoli accadrà mai qualcosa di nuovo?». La risposta viene letta attraverso le parole del Vangelo e, in particolare, tramite la figura di San Bartolomeo, che vacilla quando incontra Gesù. «Essere visto per Bartolomeo è qualcosa di coinvolgente e lo stesso avviene per noi: essere visti ci dà la forza e ci fa sentire non invisibili».

«In questi sei anni qui ad Accumoli siamo stai visti tante volte ed è importante che questo venga alla memoria per farci esercitare alla gratitudine. Non siamo stati invisibili ai primi soccorsi e alla tante persone che ci sono state vicine in questi anni, così come ci è stata vicina la presenza dei frati, che vivono tra di noi in pianta stabile». A questo punto il vescovo ha colto l’occasione per salutare fra Mimmo Semeraro, che a breve tornerà nella sua terra natia. «Percepire che siamo guardati da Dio è sinonimo di fede e noi lo abbiamo percepito anche attraverso lo sguardo di fra Mimmo che da camionista è diventato frate, ma qui con noi è tornato a fare il trasportatore di persone, mettendosi sempre a disposizione della comunità». Dopo averlo ringraziato, don Domenico ha annunciato ai fedeli l’arrivo di un nuovo frate che, insieme a padre Carmelo, continuerà per altri 3 anni l’opera pastorale.

Un momento di incontro per «contrastare lo scoraggiamento» come ricordato dal parroco, don Stanilsao Puzio e, come affermato dalla signora Michela «per ritrovarsi in memoria dei defunti, perché anche loro aspettano».

Alla fine della celebrazione un intramezzo musicale dell’Accademia Orchestrale Internazionale che, con il progetto “Accademia Vicino di Accumoli” del Dipartimento di Edilizia e Ambiente è stata premiata con il Premio di Stato Europa il 14 giugno 2022. «Stiamo facendo concerti itineranti da due settimane» ha spiegato Christian Hanus, responsabile generale del progetto. «La pandemia ci ha rallentato, ma siamo molto contenti di continuare a venire qui e speriamo di poterlo fare anche i prossimi anni, riuscendo a presentare altri progetti scientifici per la ricostruzione» ha concluso.

A sei anni dal sisma, il 2022 è l’anno della vera partenza della ricostruzione

Alla vigilia della ricorrenza del sesto anno dal sisma, con una visita riservata ai giornalisti, il Commissario Straordinario di Governo alla ricostruzione, Giovanni Legnini, accompagnato dal sub Commissario Fulvio Maria Soccodato, dall’Assessore Regionale Claudio Di Berardino, dal sindaco di Amatrice Giorgio Cortellesi, dal vescovo di Rieti Domenico Pompili e dall’architetto Stefano Boeri, ha illustrato lo stato di avanzamento dei lavori dei cantieri dell’Istituto don Minozzi, del centro storico e dell’ospedale.

«Il senso di questo incontro – ha illustrato Legnini – è quello di far comprendere meglio lo sforzo enorme di enti pubblici e privati. Possiamo dire che dopo i primi 4 anni in cui non è accaduto nulla, ad oggi sono 485 i cantieri aperti di cui 156 conclusi. L’idea è che, dopo anni di fatica e di strada in salita, oggi siamo fiduciosi perché la costruzione della nuova nuova Amatrice è ripartita. I luoghi della distruzione ci ammoniscono, però, che occorre fare un percorso importante: raccontare agli italiani come sono stati impiegati i loro denari, stimolando la consapevolezza dello sforzo di un Paese intero».

Il vero anno della ripartenza, il 2022, segna l’alba di un nuovo giorno. Il sopralluogo si è aperto con la visita a quello che rappresenta il maggiore cantiere della ricostruzione privata, il rifacimento dell’Istututo don Minozzi, Casa Futuro. Con uno stato di lavori già avanzato, il progetto che riguarda una superficie di 17, 950 mq, si prefigge lo scopo di riproporre l’intuizione dell’architetto Arnaldo Foschini declinandola in quattro distinte corti: la corte delle Arti e dei Mestieri, la corte del Silenzio, la corte dell’Accoglienza e la corte Civica.

«Noi vogliamo che la vita del Don Minozzi torni ad essere pulsante», ha dichiarato l’architetto Boeri. «Stiamo ricostruendo una parte importante di Amatrice che, per sola estensione, equivale al centro storico. L’innovazione di questo cantiere – ha continuato – non è solo l’attenzione alla parte strutturale per garantire maggior sicurezza, ma anche l’uso delle macerie. I resti della vecchia struttura, infatti, saranno utilizzati sia per le superfici carrabili che per i pannelli delle facciate, secondo il principio di economia circolare. Si avvia, così, una rigenerazione che parte da sè stessa».

Don Savino D’Amelio, Superiore Generale della Famiglia dei Discepoli di Don Minozzi, ha sottolineato il dialogo che  il progetto ha mantenuto con l’idea del Foschini. «Le zone verdi, sono state ideate per riprendere l’antico come anello di congiunzione importante: chiunque abbia conosciuto il vecchio può ritrovarsi nel nuovo». Un nuovo che si apre ai giovani con la collaborazione dell’Università di Teramo e che è attento alla filiera agro-alimentare, grazie al supporto di Slow Food, ma che guarda anche all’accoglienza degli anziani che qui «hanno bisogno di vivere, non di morire».

La seconda area visitata è stata quella del centro di Amatrice. Sebbene sia ancora difficile delineare i confini di quelle che in passato erano le abitazioni, il Commissario ha stimato che, nell’arco dei prossimi 5 anni, i risultati della ricostruzione possano essere tangibili. La vera innovazione del progetto del centro storico sarà senz’altro quella dello Smart Tunnel.

«Il Tunnel sarà la spina dorsale della città, alla quale si collegheranno tutto l’abitato. Accoglierà tutti i sottoservizi, consentendo un facile accesso agli operatori. La raccolta delle acque piovane e il gas viaggeranno autonomamente. Questa è un’opera aggiuntiva che potrà garantire sviluppo nel tempo senza dover tornare a danneggiare la città» ha spiegato il sub Commissario Soccodato.

Infine, la presentazione del cantiere dell’ospedale di Amatrice, un progetto che, nel complesso, supera i 21 milioni di euro, sei dei quali provengono dal governo tedesco. «L’ospedale ospiterà 40 posti letto di cui 10 adibiti alla riabilitazione, secondo un’esplicita esigenza della popolazione. La struttura – ha concluso l’assessore Di Berardino – sarà conclusa in un paio d’anni e rappresenterà l’ospedale più avanzato dell’Appenino Centrale dal punto di vista tecnologico grazie all’uso della telemedicina».

Si concretizzano le attività di ricostruzione post-sisma: riaperta la chiesa di Santa Rufina a Posta

Doppia festa, ieri pomeriggio, a Posta! Domenica 21 agosto, i cittadini si sono ritrovati per la riapertura della chiesa di Santa Rufina, situata nel cuore del comune dell’Alta Valle del Velino. La cerimonia di riconsegna, che ha richiamato anche i non residenti stabili, è stata altresì occasione per mostrare il restauro della tela di San Giuseppe da Leonessa.

«Per definizione la chiesa deve essere un luogo aperto – ha detto il vescovo Domenico – uno spazio in cui si ritrovano due cose che facciamo fatica a sperimentare: il silenzio per ascoltare Dio che parla al cuore e il dialogo che, invece, si rivolge a noi. Fuori, questo dialogo è interrotto da interessi contingenti, la chiesa è un’ area di dialogo con Dio e tra di noi, tutti coloro che entrano possono rinnovare la scelta di fede».

Varcare la soglia di un luogo dell’infanzia è stata un’emozione per tutti. E lo stupore si leggeva chiaro nei volti delle signore abbigliate a festa che, sbirciando dalla porta principale non hanno potuto trattenersi dall’esclamare «che spettacolo! Che meraviglia!». «Sono molto contento – ha dichiarato il signor Angelo – sono un frequentatore di questa chiesa, abito proprio qui davanti. Abbiamo lavorato tutti per renderla piacevole nella giornata di oggi, ma abbiamo ancora molto da fare per renderla ancora più bella!».

Anche il sindaco di Posta, Achille Pacifici, ha rivolto ai presenti un pensiero di riflessione: «Oggi è un’occasione particolare per diversi motivi. Di fatto, rivediamo aperto un luogo di culto molto importante per noi, che ci fa sentire comunità. In più, si è concluso il restauro del dipinto di San Giuseppe, santo a cui è rivolta una profonda devozione nei territori del comune di Posta, in particolare nelle frazione di Cerqua e Favischio, in cui il santo è stato eretto a patrono».

«Portare questa fascia – ha concluso – è un onere e un onore. Oggi la indosso sicuramente con onore perché, con questa riapertura, si stanno concretizzando le attività di ricostruzione post-terremoto e per questo dobbiamo essere grati anche al nostro vescovo che ci è stato accanto in ogni momento, rendendosi disponibile ad ogni richiesta».

Presenti alla cerimonia anche il sindaco di Borbona, Maria Antonietta di Gaspare e il vicesindaco di Leonessa, Simone Adone. In conclusione mons. Pompili ha ringraziato la giunta comunale attuale e passata per la collaborazione, fra Alessandro per il supporto musicale, il diacono Vincenzo e il parroco, don Ferruccio, che durante questi anni si è diviso tra 4 comunità parrocchiali «facendo pervenire la sua presenza e la sua dedizione a Dio con il suo tratto chiaro e delicato».

La centralità archeologica della via Salaria

Il 23 agosto 2021 presso la sala Piovan di Accumoli il professor Carlo Virili ha tenuto una conferenza dal titolo “L’archeologia del territorio di Accumoli: un ingannevole e apparente vuoto!”, volta a delineare la centralità archeologica del territorio, avendo come punto di riferimento la “strada dei due mari”: la via Salaria.

«Un ingannevole vuoto – ha spiegato Virili – sta a significare che, in realtà, la Salaria è stata ed è un catalizzatore. Per evitare di costruire oggi cattedrali nel deserto, bisogna prefigurare un piano di gestione e di rete e fare rete vuol dire andare a ricostruire quel tessuto antico più ramificato rispetto a quello di oggi».

Partendo dalle prime evidenze del luogo, il professore ha dimostrato come le zone interne dell’Italia centrale fossero aree cruciali per la viabilità. Non solo la via Salaria, ma diverse strade diramate alla sua destra e alla sua sinistra emergevano e deperivano in basa all’importanza che acquistava un determinato centro abitato. In base alle prime tracce, risalenti al 600/500 A.C., risulta che oltre allo stampo piceno, prevalente rispetto a quello sabino, ci siano anche dei richiami etruschi, frutto di una dialettica tra aggiornamenti culturali e antichi retaggi. «Il rinnovamento culturale passa per la via Salaria ma è legato anche ad un altro fenomeno, quello della transumanza che, oltre al bestiame, trasportava anche flussi di dee».

Spostando poi l’attenzione all’area archeologica di Palazzo di Grisciano, il professor Virili ha descritto quella che al tempo di Augusto doveva essere una statio. Non classificabile come “domus”, la “statio”, con vasche di natura idraulica colonne e porticati era un vero e proprio “Autogrill” del passato, una punto di sosta in cui trovavano ristoro i dipendenti del “cursus pubblicus”, il servizio imperiali di posta che assicurava gli scambi all’interno dell’Impero Romano.

Questi luoghi erano posti ad un determinato numero di miglia gli uni dagli altri, per garantire anche agli animali un punto di ristoro sicuro. Proprio il conto dei chilometri, non sempre facile a causa della mutevolezza delle strade, può far identificare il tipo di “statio”. Stando anche agli studi del Persichetti, quella di Palazzo del Guasto appare essere quella di “Ad Martis”.

A prescindere dall’esattezza del nome, questa “statio” dimostra l’importanza di un’archeologia che oggi, come ieri, può essere un punto di interesse e di incontro per il territorio, fino a diventare un vero e proprio itinerario archeologico e museale fonte di attrazione e studio. «Bisogna fare delle cose buone» ha detto il sindaco di Accumoli Franca D’Angeli. «Nel futuro di Accumoli non può esserci solo la ricostruzione delle case, bisogna riportare qui le persone e in questo progetto, io vedo un percorso archeologico verso il futuro».

«Se la Salaria è stato questo coacervo di umanità, dobbiamo ripartire da lì se vogliamo dare al territorio un futuro. Non si possono riportare indietro quelli che ci abitavano, ma bisogna costruire un nuovo rapporto tra città e montagna, cercando risorse aggiuntive: mondo di sotto che aiuta a capire il mondo si sopra» ha concluso il vescovo Domenico.

Emozione e musica, Accumoli ricorda le sue vittime

Nel pomeriggio del 24 agosto, Accumoli, paese epicentro del tragico terremoto del 2016, ha ricordato le sue vittime con una celebrazione liturgica animata da suggestivi intermezzi musicali.

«Il canto che ha invocato lo spirito ci ha introdotto in questa tappa. Qui ricordiamo gli undici morti di Accumoli e vogliamo farlo nel segno della speranza, come la musica ci suggerisce» con queste parole il vescovo Domenico ha dato inizio alla Santa Messa presso la Scuola di Ricostruzione.

E l’atmosfera, carica di emozione, è stata allietata proprio dalla melodia, grazie alla presenza di due cori e un’orchestra polifonica.

Non solo il coro di Accumoli e Amatrice, ma anche il coro Elikya e l’orchestra dell’Accademia Vicino che coinvolge giovani musicisti provenienti da diverse parti del mondo.

Il coro Elikya è un coro intergenerazionale e interculturale che nasce circa dieci anni fa da un progetto voluto da padre Padretti e raggruppa una sessantina di musici e cantori delle più svariati nazionalità e religioni.

«Oggi siamo qui perché abbiamo deciso di fare il Cammino delle Terre Mutate e, in onore delle vittime del sisma, volevamo fare anche un concerto», ha detto Claudio, membro della formazione.

Il vescovo Domenico nell’omelia ha citato il Libro dell’Apocalisse, che «a dispetto del nome non indugia mai su toni catastrofici ma una rivelazione».

«Siamo giunti a cinque anni di distanza dal terremoto –  ha sottolineato monsignor Pompili – e una cosa deve essere chiara: non si può riprodurre la città vecchia ma occorre tratteggiare una città nuove; non basta rimeditare le forme del passato o immaginare una ricostruzione dov’era e com’era, ma bisogna avere la capacità di immaginare qualcosa di nuovo in questo territorio».

Un territorio «di transumanza», l’ha definito don Domenico, perché «a transumare in passato erano gli ovini che scendevano in città, ma forse oggi ci è data un’irripetibile opportunità di mettere in atto un’altra forma di transumanza, quella di essere umani in doppia direzione, andando sia verso la città che verso la montagna. Una sorta di “contratto di reciprocità”, perché non è pensabile che questi luoghi siano ripopolati solo da coloro che tornano. È una sfida che dobbiamo raccogliere anche per onorare chi non c’è più che racchiude la sinergia che stasera sembra di poter cogliere in queste tre diverse espressioni musicali».

Poi, l’auspicio. «C’è bisogno che le istituzioni re-immaginino questo territorio e collaborino insieme affinché questo altopiano di struggente bellezza torni a vivere».

Al termine della celebrazione, il ricordo delle vittime è stato affidato a undici bambini, ciascuno dei quali ha portato una candela verso l’altare, ricordando il nome di chi non c’è più.

Riaperta a Nommisci la prima chiesa del territorio amatriciano

Lo scorso 18 dicembre erano state riconsegnate le campane e venerdì 13 agosto il loro suono ha rallegrato tutto il paese: finalmente riaperta la chiesa di San Pietro Apostolo a Nommisci. Gli interventi definitivi di messa in sicurezza e manutenzione straordinaria effettuati sul tetto della chiesa e nella sagrestia insieme al consolidamento della vela campanaria e di porzioni di muratura, coordinati dall’Ufficio Beni Culturali della diocesi di Rieti, hanno fatto sì che questa sia stata la prima chiesa del territorio amatriciano ad essere riaperta.

E c’erano proprio tutti alla celebrazione, dal signor Ottavio, con i suoi 98 anni, ai bambini che scorrazzavano nel cortile. Una festa che ha richiamato tutta la cittadinanza, ritornata nel paese di origine in occasione delle vacanze estive. «Siamo felici, quando manca solo qualche giorno al quinto anniversario del sisma, di poter condividere il frutto di collaborazione di tanti, pubblici e privati, in linea con lo stile che dobbiamo adoperare insieme. Questo è uno spazio privilegiato per fare tacere le parole umane e far risuonare quelle del Signore» ha detto il vescovo Domenico che è stato accompagnato nella celebrazione da don Savino D’ Amelio, don Luigi Aquilini e don Adolfo Izaguirre.

Di fronte alla tela con sant’Anna e Maria Bambina, don Domenico, recitando l’omelia, ha invitato a rivolgersi alle generazioni future con un occhio saldo al passato. «La nostra generazione è appiattita, la sensazione è che esista solo il presente, dimenticando quello che c’è alle nostre spalle e davanti. Se stiamo qui, però, è perché c’è stato un passato. Quello che noi oggi siamo è ciò che abbiamo ricevuto dai nostri genitori».

«Ripartire – ha continuato – è un atto di gratitudine a chi è venuto prima. Oggi, inoltre, rischiamo di perdere di vista anche il futuro. Solo attraverso il dialogo tra adulti e bambini in crescita si intuisce quello che è futuro, possibile solo se c’è rapporto. Dobbiamo avere gratitudine per chi ci ha preceduto e apertura verso coloro che vengono dopo di noi».

Dopo la benedizione, l’omaggio ai caduti davanti alla lapide affissa sul campanile che ricorda i defunti della Prima e della Seconda guerra mondiale. La festa si è conclusa con un rinfresco all’aperto. Tanto l’entusiasmo delle nonne che hanno accompagnato i nipoti, delle mamme e dei mariti. C’era anche Franco Gentile, il signore che a dicembre aveva salutato il ritorno delle campane con tanto affetto. Finalmente i loro rintocchi celebrano la vita.


Riapertura Santa Maria Assunta: Borbona ha di nuovo la sua chiesa

«Lasciamoci sfidare dal futuro» citando il filosofo Bauman, il vescovo Domenico ha inaugurato con una celebrazione eucaristica la chiesa di Santa Maria Assunta, conosciuta anche come Santa Maria Nuova, in Borbona. La cerimonia, avvenuta nel pomeriggio di lunedì 28 giugno, ha radunato istituzioni e cittadini, emozionati di poter finalmente tornare nel centralissimo edificio.

La particolarità di questa chiesa, come spiegato dall’architetto Marco Lucandri, coordinatore dell’intervento, sta nella sua pianta circolare. Allo stesso tempo, però, questa caratteristica è stata anche la fragilità dell’edificio, che ha riportato i suoi danni maggiori proprio in corrispondenza della cupola e delle volte laterali. Gli interventi, si sono concentrati dunque sul consolidamento delle volte e sulla ricostruzione sia dei tetti laterali più bassi che del tetto sopra la cupola, rafforzato con una cerchiatura d’acciaio. «Per ripristinare la cupola è stata adottata una tecnica innovativa, quella del coccioforte, un sistema di rinforzo che consente tuttavia la reversibilità».

«Riapriamo ufficialmente questa chiesa dopo il tempo del terremoto ed è questo segno di grande speranza perché significa tornare alla dimensione abituale» ha affermato don Domenico, sottolineando, però, che la ricostruzione non deve essere vista solo come un fatto economico o tecnico ma anche culturale e spirituale perché «non basta che arrivino flussi di denaro se poi non ci sono le persone giuste capaci di orientare il capitale verso il bene comune».

Rivolgendo poi lo sguardo all’esterno, il vescovo ha fatto riferimento ai lavori in corso per il Centro di Comunità, luogo di incontro, e alla RSA, dove vengono custoditi gli anziani. «In questa triangolazione si delinea qualcosa che ha a che fare con la Borbona del futuro che sì, è una piccola comunità, ma è importante che dopo 5 anni si cominci a delineare una prospettiva in cui si recuperino gli spazi per la vita sia ecclesiale che sociale. Perciò – ha concluso – questo giorno di festa deve essere un segno di volontà a ricostruire non guardando le nostre spalle, ma
mirando avanti con fiducia».

Prima della conclusione della messa, don Ernesto Pietrangeli, parroco di Borbona ci ha tenuto a ringraziare personalmente tutte le persone che hanno contributo alla realizzazione del progetto e, con la voce rotta dall’emozione ci ha tenuto a condividere un suo intimo ricordo. «Questa è la chiesa dove seguivo la messa da bambino e dove, da giovane, celebravo. Negli anni ottanta e novanta era piena di fedeli e si respirava fede in ogni angolo. Mi auguro che questo possa continuare anche ora con le nuove generazione perché questi edifici non sono monumenti ma un luoghi di fede».

Si è unita ai ringraziamenti anche Maria Antonietta Di Gaspare, sindaco della città, che, riprendendo l’asse proposto dal vescovo, quello tra la chiesa di Santa Maria Assunta, il venturo Centro di Comunità e la Rsa, ha aggiunto un ulteriore tassello: il centro storico. «riteniamo che, nel proiettarci nel futuro, la memoria possa essere il volano del domani che abbiamo il dovere di trasmettere ai nostri giovani. Queste comunità, seppur piccole, nascondono un trascorso e un passato e in questi luoghi dobbiamo creare un futuro per tutti» ha concluso.

Tanto l’entusiasmo tra i fedeli, consolati così dall’assenza dei festeggiamenti in onore di santa Maria del Monte, in coincidenza con l’ultima domenica di Giugno. «Non è cambiata per niente» ha detto la signora Dina. L’unica differenza infatti sta nell’esposizione della Croce Processionale, ora visibile a tutti grazie alla protezione di una teca posta ai margini dell’altare.

Il santuario della Madonna di Capodacqua riaperto al pubblico

È passato solo un anno da quando la festa della Santissima Trinità si è celebrata nel campetto sottostante al santuario. Allora, la chiesa era ancora inaccessibile a causa dei danni riportati dal sisma e la distanza imposta dal Covid cominciava a rappresentare la normalità. Quest’anno, seppur distanziati, il santuario della Madonna di Capodacqua ha potuto riabbracciare i suoi fedeli nel giardino del sagrato, pronto ad essere riaperto.

Dopo cinque anni, infatti, proprio in occasione della festività patronale, nella mattina di domenica 30 Maggio, questo bellissimo edifico è stato ufficialmente restituito ai fedeli. «L’intervento, che ha interessato la chiesa e non la casa parrocchiale, è stato svolto secondo quanto disposto dalle norme speciali per il terremoto, con un budget di 350 mila euro» ha spiegato l’architetto Marco Lucandri. L’edifico ha di fatto subito il rifacimento del tetto e il consolidamento della facciata, del campanile e di tutta la volta interna della navata. «Sono stati poi restaurati tutti i danni che c’erano sugli apparati decorativi» ha aggiunto.

«Questa è una bella notizia che anticipa l’imminente riapertura di un altro edificio di culto a Borbona e che apre la strada alla ricostruzione delle 84 chiese contenute nell’ordinanza 105» ha affermato mons Pompili.

Forte l’entusiasmo e l’emozione dei cittadini accorsi in gran numero per tornare a vedere l’interno della chiesa. «È bellissimo ed emozionante avere di nuovo il nostro santuario» ha commentato la signora Sandra, parole che risuonano sulle bocche di tutti i fedeli in uscita dal portone della chiesa.

«L’augurio per questa giornata di duplice festa – ha detto il vescovo Domenico – è che questa chiesa che rappresenta per noi l’identità del territorio, ci faccia riscoprire anche la vera identità dell’uomo: quella di essere sempre aperti all’incontro con il prossimo, senza cadere in ottiche narcisistiche e prive di empatia».

Presenti alla cerimonia anche l’assessore regionale Di Berardino e il consigliere provinciale Nobili. «È un giorno meraviglioso atteso da moltissime coppie per potersi finalmente sposare. Ogni cittarealese è devoto alla Madonna di Capodaqua, ci teniamo tantissimo. » ha sottolineato il sindaco di Cattareale Francesco Nelli. «Grazie al lavoro di tutti, oggi ci riappropriamo del nostro santuario, nella speranza che il prossimo anno si possa celebrare la funzione all’interno della chiesa e che si possa fare anche la nostra amata processione» ha poi concluso.

Dopo la funzione, il vescovo si è recato alla fonte per benedire la statua della madonna, delle pecorelle e delle veggente, sistemate accuratamente da una famiglia locale. Questo breve pellegrinaggio ha sostituito, per quanto possibile, il pranzo che i fedeli erano soliti fare dopo la messa. Per quanto ancora la situazione pandemica obblighi ad un certo rigore, quel che è certo è che da oggi Cittareale, grazie all’impegno della Diocesi, torna ad avere in funzione un cuore pulsante a dimostrazione che sì, dal 2016, qualcosa sta finalmente cambiando.

La chiesa di Sant’Antonio Abate è pronta per l’intervento definitivo di miglioramento sismico

Anche la chiesa di Sant’Antonio Abate a Cornillo Nuovo di Amatrice si prepara all’intervento definitivo di miglioramento sismico. Come la chiesa di San Giorgio Martire a Terracino, questo organismo edilizio rappresenta un gioiello culturale per via della massiccia presenza di opere d’arte e di affreschi.

Il sisma del 2016 ha fatto sì che l’edificio riportasse delle importanti lesioni nella facciata, nelle pareti laterali e nella vela che hanno reso necessario l’intervento di messa in sicurezza. Non meno impegnativa è stata la messa in sicurezza delle opere d’arte conservate all’interno della chiesa. Sono state infatti recuperate e trasportate nel deposito della Scuola Forestale Carabinieri di Cittaducale, più di 40 opere tra suppellettili liturgiche, paramenti sacri e libri dell’archivio parrocchiale, tra i quali dei messali datati XVII e XVIII secolo.

Tra esse, spicca inoltre il tabernacolo ligneo in forma di tempietto dipinto con l’immagine del Cristo risorto e dei santi Giovanni e Antonio Abate, siglato con il nome del donatore, Cherubino de Jacobo, con data 1568.

In situ, sono state messe in sicurezza le due statue in terracotta raffiguranti Sant’Antonio abate, nella nicchia dell’altare maggiore, e la Vergine orante con il Bambino sull’altare laterale destro, attribuite allo scultore abruzzese Saturnino Gatti, protagonista del rinascimento aquilano. Non danneggiati invece i cicli pittorici ad affresco, in cui spicca la raffigurazione delle dodici Storie di Sant’Antonio abate di Dionisio Cappelli.

L’intervento di ricostruzione è quindi volto a ripristinare l’edificio per garantirne la sicurezza e la continuità di culto, non dimenticando le esigenze di conservazione e di tutela attiva.

Filetta: gli amatriciani sono tornati a festeggiare la loro patrona

«Oggi siamo in festa ed è duplice il motivo della nostra gioia e speranza» con queste parole don Savino D’Amelio ha aperto, domenica 16 maggio, la messa in onore della Madonna della Filetta, nello stesso giorno delle celebrazioni in onore dell’Ascensione. «Gesù, che ci coinvolge nel suo ascendere al cielo, ci ha donato il manifestarsi di Maria, che ha deciso di apparire nella conca amatriciana ad un’umile pastorella nel 1642. Questo è il dono più grande che la nostra comunità possa riconoscere da parte della Madonna perché è la garanzia della sua presenza».

Il terremoto prima, e il Covid poi, hanno totalmente stravolto questa sentita ricorrenza che si festeggiava con il pellegrinaggio verso il santuario della Madonna della Filetta, accompagnato dalle voci alternate degli uomini e donne che intonavano “Evviva Maria, Maria Evviva, Evviva Maria e chi la creò”. Se lo scorso anno la messa fu uno dei primi eventi post lock-down celebrati all’aperto, quest’anno, causa maltempo, la messa si è svolta all’interno del palazzetto dello sport di Amatrice, nel rispetto delle norme anti Covid.

Il coro c’era e la cittadinanza ha risposto numerosa. A guidare la liturgia, oltre a don Savino, erano presenti anche il vicario del vescovo, don Luigi Aquilini e don Adolfo Izaguirre, parroco di Amatrice. Non potendosi svolgere la tradizionale processione, i parroci hanno fatto sfilare la reliquia tra i fedeli cosicché ognuno, a distanza, potesse rivolgere la sua preghiera personale alla Madonna.

«Maria si è manifestata alla pastorella Chiarina Valente nell’umile segno di un cammeo, illuminato da un raggio di sole dopo un temporale. Questa è la dimostrazione che Dio non fa le cose per caso – ha detto don Savino durante l’omelia – ma ogni cosa ha un suo senso e sta a noi saper cogliere i segni che Egli pone nella nostra vita».

Rivelandosi come luce dopo la tempesta, Maria si configura quindi come la speranza che nasce dai momenti di difficoltà che, nel caso di questo territorio, possono ricollegarsi sia al sisma che alla pandemia. «Questi, non sono un castigo di Dio, perché Dio è buono sono, piuttosto, un richiamo a riflettere sul senso della nostra vita».

La celebrazione si è conclusa con il reliquiario che sfilava tra i fedeli scortato con cura don Savino, accompagnato dai canti tradizionali. Nei giorni precedenti però, don Adolfo, seppur con le limitazioni del caso, ha voluto mantenere vivo il rituale, esibendo la Madonna tra le diverse frazioni e aree Sae.