«Di terra e colore»: sculture mariane delle terre del sisma tornano al pubblico

Presentate nella sala degli Stemmi di Palazzo Papale, a Rieti, la Madonna Lactans e la Pietà: due opere in terracotta policroma restaurate grazie ai contributi raccolti grazie ad Art Bonus per il Terremoto.

I beni provengono, rispettivamente, dalla Chiesa di Sant’Agata di Grisciano, frazione di Accumoli (Madonna Lactans, opera di Giacomo e Raffaele da Montereale) e dalla Chiesa di Santa Maria della Misericordia di Accumoli (Pietà, di autore anonimo) e tornano alla fruibilità della comunità reatina attraverso l’esposizione “Di terra e colore”, una mostra che racconta le sculture mariane provenienti dai territori del sisma.

Il progetto di restauro delle due terracotte fa parte della più ampia programmazione di restauro dei beni custoditi nei depositi allestiti durante l’emergenza sisma 2016 e si configura all’interno delle attività dell’Ufficio del Soprintendente Speciale per le aree colpite dal sisma del 24 agosto 2016 del Ministero della Cultura che, attraverso il il progetto trasversale “Sisma 2016. Progetto per la diagnostica, la progettazione e il restauro dei beni storico-artistici mobili colpiti dai sismi del 2016 nelle regioni Abruzzo, Lazio, Marche, Umbria“, si pone l’obiettivo di restituire tale patrimonio culturale alla pubblica fruizione attraverso l’affidamento dei progetti di restauro e recupero delle opere colpite dal terremoto del Centro Italia.

Alla presentazione hanno preso parte, il vescovo di Rieti monsignor Domenico Pompili, il Direttore Generale Sicurezza del Patrimonio Culturale Marica Mercalli e il Soprintendente Speciale Sisma 2016 del MiC Paolo Iannelli. Presenti anche il Funzionario storico dell’arte del MiC Giuseppe Cassio – direttore dei lavori, il Funzionario restauratore del MiC del Monica Sabatini – progettista, e Carlotta Capitani de L’OFFICINA (Consorzio di ditte individuali artigiane) – impresa che ha curato il restauro.

Le opere

Le opere afferenti a questo progetto qui presentate sono in terracotta, un materiale povero, tuttavia estremamente elegante quando lavorato con sapiente maestria. La scultura in terracotta ha sempre sofferto di una subordinazione nei confronti di materiali più nobili, come il bronzo e il marmo.

Perché questo pregiudizio? I motivi sono diversi, dalla deteriorabilità del materiale che viene più comunemente utilizzato dagli artisti per bozzetti e studi, al suo frequente uso in ambito devozionale, espressione della cultura popolare e locale. Ed è qui che ci troviamo nel reatino, in territori di confine, davanti ad opere riconducibili a personalità artistiche solo in parte delineate, che rielaborano, con diverse capacità, le aperture culturali locali, fortemente devozionali, alle influenze di contesti più colti e innovativi. Il patrimonio diffuso del reatino è testimonianza infatti di linguaggi figurativi sviluppatisi in territori caratterizzati da intensi scambi commerciali e commistioni artistiche.

E la terracotta, nelle opere qui presentate, ben unisce esigenze devozionali – esaltate dal forte realismo che questo materiale ben esprime, come nella Pietà della Chiesa di S. Maria della Misericordia di Accumoli – insieme a forme di estrema eleganza e raffinatezza, come nella Madonna Lactans proveniente dalla Chiesa di S. Agata a Grisciano, piccola frazione di Accumoli.

Già affidata in passato dalla critica a “scuola abruzzese” con attribuzioni poco convincenti, la scultura è stata restituita da Giuseppe Cassio ai fratelli Giacomo e Raffaele da Montereale. Considerato il soggetto, quest’opera bene incarna l’intensa devozione al culto della Madonna del latte, così diffuso nella civiltà rurale dell’Italia centrale, e legato al tema della fecondità, della natalità, come retaggio dei culti pagani, in una traduzione dalle linee sobrie ed eleganti.

I danni e le operazioni di pronto intervento

Entrambe le opere sono realizzate in blocchi di terracotta sovrapposti lavorati a mano e dipinti con strati policromi applicati a freddo.

La Pietà si trovava sull’altare maggiore della chiesa e ne rappresentava l’immagine simbolica principale; è stata recuperata in grandi frammenti dovuti al crollo dell’edificio.

È stata quindi schedata secondo le direttive del Sistema Informativo Territoriale Carta del Rischio, imballata e trasportata al deposito allestito durante la fase emergenziale dal MiC presso la Scuola Forestale Carabinieri di Cittaducale.

Anche la Madonna Lactans, una volta recuperata e schedata, è stata imballata e portata al deposito di Cittaducale per ricevere il primo intervento di messa in sicurezza, che ha previsto l’analisi dello stato di conservazione, del degrado e del danno in vista della programmazione dell’intervento generale di restauro, che si è appena concluso.

Durante questa prima fase sono state effettuati le operazioni di pronto intervento come la spolveratura e la ricomposizione di piccoli frammenti erratici e dei grandi pezzi della struttura.

Il progetto di restauro

Il progetto di restauro del gruppo di opere mobili in terracotta custodite presso il deposito reatino di Cittaducale fa parte della più ampia programmazione di restauro dei beni custoditi nei depositi allestiti durante l’emergenza, con l’obiettivo di restituire tale patrimonio culturale alla pubblica fruizione.

In particolare nel reatino tali attività sono state coordinate in accordo con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Frosinone, Latina e Rieti (ora per l’area metropolitana di Roma e la provincia di Rieti), e sono state bene illustrate nella mostra Rinascite. Opere d’arte salvate dal sisma di Amatrice e Accumoli. 17/11/17-11/02/18, Terme di Diocleziano, Roma (qui il contributo a cura di RAICultura). La mostra ha avuto come duplice obiettivo di ricostruire le relazioni tra opere e territorio e di rivivere l’attività di recupero del patrimonio artistico condotta in maniera sistematica nelle zone devastate dal sisma, anche attraverso una serie di scatti fotografici d’autore di Paolo Rosselli.

Le operazioni che hanno interessato le due sculture hanno previsto una serie di interventi conoscitivi come l’analisi diagnostica e la documentazione fotografica. Si è passati poi agli interventi conservativi volti al consolidamento dei supporti, al ristabilimento della coesione degli strati preparatori e pittorici, alla ricomposizione e alla integrazione plastica in base allo studio filologico delle opere, per poi passare alla pulitura, alla stuccatura e alla reintegrazione pittorica con verniciatura finale.

Quest’ultimo aspetto ha tenuto conto dell’istanza devozionale ed è per questo che si è deciso di eliminare ogni genere di interferenza causata da una diversa interpretazione fornita dall’ultimo restauro documentato negli anni Ottanta del secolo scorso. Le opere sono state dotate di strutture all’avanguardia atte a sostenerne il peso e a mantenere l’integrità dell’insieme in piena sicurezza. Le strutture sono state progettate per garantire la movimentazione e la flessibilità di collocazione dando l’opportunità di renderle autonome e non più vincolate alle strutture architettoniche che le ospitavano e che fungevano da potenziali elementi di rischio.

L’arte di Accumoli e Amatrice in mostra a Rieti fino a gennaio 2022

Oltre una sorte avversa. L’arte di Amatrice e Accumoli dal terremoto alla rinascita: si intitola così la grande mostra allestita a Rieti, a Palazzo Dosi-Delfini (piazza Vittorio Emanuele II), che a cinque anni dal sisma consente di riammirare il ricco patrimonio culturale dei due paesi-martiri del centro Italia, recuperato e messo in sicurezza nei depositi del MiC di Rieti e Cittaducale e poi avviato a restauro.

La mostra, curata da Giuseppe Cassio e Paola Refice, è promossa dalla Fondazione Varrone e allestita, sotto la direzione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma e la provincia di Rieti, con opere della Diocesi di Rieti e del Comune di Amatrice, provenienti dalle chiese dei territori di Accumoli e Amatrice. 48 delle 64 opere in mostra sono state restaurate dalla Fondazione Varrone nel Varrone Lab, appositamente allestito per lo scopo; le restanti sono state restaurate dal MiC (Soprintendenza ABAP, Istituto Centrale per il Restauro e il laboratorio di restauro delle Gallerie Nazionali – Palazzo Barberini).

La mostra è stata inaugurata lo scorso 21 maggio: resterà aperta fino al 9 gennaio 2022, tutti i giorni eccetto il lunedì, dalle 17 alle 20. Le restrizioni anti-Covid ancora in vigore rendono necessaria la prenotazione sulla piattaforma eventbrite.

Si completa così un percorso avviato nel maggio del 2019 dalla Fondazione Varrone, che scelse di concentrare energie e risorse sul recupero delle opere d’arte scampate al sisma nel duplice tentativo di salvaguardare le radici più genuine della popolazione locale e mantenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica sulla ricostruzione del centro Italia. Nacque così un accordo di programma sottoscritto con l’allora Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Frosinone, Latina e Rieti, l’Ufficio del Soprintendente Speciale per le aree colpite dal sisma del 24 agosto 2016, la Soprintendenza Archivistica e Bibliografica del Lazio, la Diocesi di Rieti e i Comuni di Accumoli, Amatrice, Cittareale e Rieti.

Frutto di quell’accordo è stato il Varrone Lab, aperto nel gennaio 2020 nella piazza centrale della città, dove è stato restaurato un importante lotto di opere d’arte conservate nella Scuola Forestale Carabinieri di Cittaducale, e il volume Ai piedi della Laga. Per uno sguardo d’insieme al patrimonio culturale ferito dal sisma nel Lazio, pubblicato da Mondadori Electa nel dicembre 2019.

L’intento di questa mostra è quello di far diventare un patrimonio artistico, tanto duramente colpito da una “sorte avversa”, simbolo di resilienza e di orgoglio.

A L’Aquila il restauro di alcune opere d’arte recuperate ad Amatrice dopo il sisma

L’Accademia di Belle Arti dell’Aquila ha presentato questa mattina il cantiere scuola per il restauro di una serie di opere provenienti dal territorio del Comune di Amatrice danneggiate dal sisma del 2016 e  conservate in questi anni nel deposito di Cittaducale. Presenti all’incontro il Presidente e la Direttrice ABAQ, Rinaldo Tordera e Maria D’Alesio, il Consigliere Comunale di Amatrcie con delega alla cultura Alessio Serafini e la prof.ssa Gabriella Forcucci coordinatrice del restauro.

L’intervento che sta riguardando importanti manufatti databili tra il XVII e il XIX secolo si sta concentrando su alcune opere lignee. Si tratta di una coppia di candelieri del seicento provenienti dalla Chiesa di San Francesco ad Amatrice, di due busti reliquiari di Santi del XVIII secolo provenienti dal Museo Civico Cola Filotesio sempre di Amatrice e di un crocifisso proveniente dal Santuario di Santa Maria delle Grazie di Varoni. Nelle prossime settimane si interverrà anche sulle altre opere arrivate in accademia e di proprietà della Diocesi di Rieti. Il restauro prevede una prima importante pulitura per rimuovere i depositi, si passerà poi al risarcimento dei danni provocati dal terremoto consolidando i distacchi degli strati pittorici e delle lamine metalliche, per finire con ulteriore puliture e rimozione delle parti non originali come ridipingere non legate ai danni dovuti al terremoto.

“Questo intervento – spiega la coordinatrice del restauro e docente presso l’accademia aquilana Gabriella Forcucci – ci permetterà di recuperare oggetti di ottima fattura e di grande qualità che  ci sono arrivati gravemente danneggiati dal sisma del 2016, ma che hanno danni anche precedenti all’evento naturale dovuti alla mancanza di manutenzione. Con questo lavoro, insieme agli studenti, mettiamo in salvo e tuteliamo opere preziose con grossi problemi che il sisma ha solo amplificato. Opere dal forte valore identitario che difficilmente sarebbero state restaurate secondo le normali procedure di tutela e valorizzazione”.

“E’ una collaborazione che ci onora – ha dichiarato Alessio Serafini  consigliere comunale di Amatrice con delega alla cultura – e, sono certo, sarà l’inizio di una rapporto virtuoso tra Amatrice e questa Accademia per altri importanti progetti come quello presentato oggi. C’è poi un particolare che vorrei sottolineare e che riguarda  il restauro dei candelieri che rappresenta il primo passo per il restauro totale della stessa Chiesa di San Francesco di cui sta per partire il cantiere”.

“Questo cantiere è stato realizzato grazie ad una sinergia virtuosa tra un’amministrazione pubblica e un’istituzione di alta formazione artistica – spiega la direttrice ABAQ Maria D’Alesio – Ma è anche un esempio di come l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila è aperta sempre di più al territorio mettendo a disposizione le proprie professionalità. Voglio ringraziare la Comunità di Amatrice per averci dato la possibilità di realizzare questo cantiere scuola che sarà fondamentale per la formazione dei nostri studenti della Scuola di Restauro”. 

“Queste collaborazioni – ha aggiunto il Presidente ABAQ Rinaldo Tordera – sono fondamentali per la nostra Accademia perché danno la possibilità ai nostri studenti di formarsi sul campo grazie a strumenti unici e peculiari, nell’ottica di avere sempre più giovani iscritti ai nostri corsi ed in particolare alla nostra scuola di restauro che, lo ribadisco, è un corso quinquennale abilitante alla professione”.

La presentazione del restauro delle opere provenienti da Amatrice si è svolta nell’ambito della giornata di studi organizzata dall’Accademia di Belle Arti per individuare temi comuni tra le diverse scuole di questa Accademia, inquadrando gli argomenti del restauro o meglio della conservazione, come trasversali alla produzione dell’arte. La specificità di questa occasione è proprio quella di stabilire un dialogo tra chi l’arte la produce e chi ne tutela l’esistenza e la memoria. A rendere inconsueta questa opportunità è proprio la condizione che in uno stesso luogo, L’Accademia di Belle Arti di L’Aquila appunto, convivono delle attività che seppure percorrono diversi programmi formativi ed educativi, si concentrano sulla produzione dell’arte. Il restauro di un manufatto artistico così come la conservazione e gestione di un concetto artistico, non prescinde mai da una profonda conoscenza del medesimo, ed è innanzi tutto questo che rende sostanziale l’incontro ed il confronto fra le diverse scuole. Questa giornata è una prima verifica sulle possibili tangenze fra le diverse discipline che potranno generare progetti condivisi al fine di offrire una sempre maggiore consistenza di competenze agli studenti e nuove potenzialità alla docenza, aprendo le attività al pubblico e a quanti vorranno partecipare con la nostra istituzione.

Beni culturali: un ponte tra memoria e futuro

Il 18 marzo si è fatta memoria dei morti a causa del Covid-19. La giornata è stata istituita per continuare a riconoscere chi non c’è più, per trasformare in un patrimonio comune la loro esperienza. La memoria salva dalla precarietà del mondo. Lo abbiamo visto anche con il terremoto: quando il senso del limite diviene ineludibile e la tragedia dell’esistenza ci sovrasta, si sente il bisogno di trasmettere tra le generazioni scritti, immagini e opere d’arte che conservano la memoria del territorio e dei suoi abitanti.

Per questo compito la Chiesa ha sempre avuto consapevolezza e attenzione. Nel Lazio i beni ecclesiastici contano 180 istituti culturali: 85 biblioteche, 71 archivi, 24 musei. 1612 tra parrocchie ed enti ecclesiali sono proprietari di chiese e immobili e ad oggi sono state censite 137.955 opere d’arte. La tutela, la valorizzazione e la promozione di questo patrimonio, affidata alle 17 diocesi, alle abbazie e ai religiosi per i beni di loro proprietà, non si è fermata durante la pandemia. Il coordinamento è affidato alla Consulta Regionale Beni Culturali ed Edilizia di Culto, che vede di fianco al presidente un incaricato regionale e gli incaricati diocesani: laici e sacerdoti competenti e appassionati che, insieme ai direttori degli istituti culturali, si fanno carico della cura e della conoscenza di questi depositi del pensiero e della fede. Un’attività sostenuta dalla Cei con i fondi provenienti dall’otto per mille alla Chiesa Cattolica, ai quali si affianca la partecipazione delle diocesi, degli enti ecclesiastici e dei fedeli. A queste risorse si aggiungono i contributi nazionali e regionali e di enti pubblici e privati.

In questo campo, una situazione di particolare attenzione è rivolta alle aree colpite dal terremoto. Le diocesi hanno sostanzialmente completato la messa in sicurezza degli edifici ed è in avvio la fase di ricostruzione vera e propria. Quadri, statue, documenti, organi, suppellettili e arredi liturgici sono stati recuperati e sono ora protetti nei depositi in attesa di poter essere restituiti ai luoghi d’origine. «Il patrimonio culturale di interesse religioso è al servizio della missione della Chiesa: le opere d’arte aiutano l’anima a ricercare Dio e possono essere forme di ascesi e di catechesi», spiegava Giovanni Paolo II. Ogni comunità deve continuare l’attività della conoscenza, della conservazione, della tutela e della fruizione del patrimonio culturale, anche nella difficoltà della ricostruzione e della pandemia.

di Mons Domenico Pompili
Vescovo delegato regionale per i beni culturali e l’edilizia di culto
(pubblicato origianriamente su «Lazio Sette» del 21 marzo 2021)

L’Appennino terremotato deve «tornare a vivere, non solo a sopravvivere»

L’Appennino terremotato deve «tornare a vivere, non solo a sopravvivere», per questo ricostruire significa anche investire su «lavoro, infrastrutture e cultura». Il vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili, preferisce parlare di rigenerazione e dal nuovo governo si aspetta il necessario impegno «senza ulteriori ritardi».

Dall’ultimo rapporto sulla ricostruzione si nota un’accelerazione importante per la ricostruzione privata. Quale è la situazione nella diocesi di Rieti e in quella di Ascoli Piceno, di cui è amministratore apostolico? Il 2021 sarà l’anno della svolta?

Per quel che riguarda il territorio di Rieti abbiamo un incremento pari al 59% delle domande accolte per la ricostruzione privata; per Ascoli Piceno l’incremento è del 34%. Cresce perciò la capacità della pubblica amministrazione di istruire le pratiche presentate dai cittadini, ma nel contempo sale fortemente anche il numero di pratiche da trattare. In questo senso è interessante notare – nel Rapporto del Commissario 2020 – che il numero degli addetti alla ricostruzione nell’ambito degli enti pubblici è tornato finalmente ad aumentare, passando da 1095 unità nel 2019 a 1277 nel 2020. Alla semplificazione delle procedure introdotte corrisponde, dunque, un ritrovato interesse per la ricostruzione: difficile dire se il 2021 sarà l’anno della svolta, ma di sicuro stiamo assistendo a segnali positivi.

Sul fronte chiese la procedura è stata semplificata, sono stati assegnati finanziamenti per 928 edifici sacri, 100 cantieri sono conclusi. Ma ce ne sono quasi 3mila danneggiati a cui bisogna pensare.

L’impegno chiesto alle diocesi che sono diventate ‘soggetti attuatori’ è notevole ed esige un inedito lavoro di organizzazione per far fronte a una situazione straordinaria. Naturalmente in tutte le diocesi (sono più di una trentina quelle coinvolte, a vario titolo) si sta lavorando perché vengano avviati al più presto i cantieri. Ma evidentemente non accadrà tutto questo con uno ‘schiocco di dita’. L’onere della ricostruzione delle chiese dice due cose: da un lato, si tratta di una responsabilità enorme che cambia il volto delle priorità nella strategia amministrativa di una comunità cristiana. Dall’altro, suggerisce un riconoscimento importante perché lo Stato si fida della Chiesa nel portare a compimento un lavoro sfibrante. Come già toccato con mano per le cosiddette ‘messe in sicurezza’, dove numero e qualità degli interventi delle singole diocesi è stato di gran lunga superiore ad altri soggetti attuatori.

Quali sono le priorità per l’Appennino terremotato, per scongiurare il rischio di ricostruire un territorio in via di spopolamento?

In realtà, l’Appennino è terremotato ben prima del sisma del 2016. Pur essendo la spina dorsale del Paese, infatti, già dai primi del Novecento è andato incontro ad un progressivo spopolamento. Amatrice nel ’700 aveva circa 15mila abitanti, oggi non arriva a 2000 residenti, sparpagliati in decine di frazioni. Le priorità quindi sono tre: infrastrutture, lavoro e cultura. Le infrastrutture sono materiali come le strade e la ferrovia, ma anche immateriali, come in tempi di pandemia ha rivelato lo smart working. Il lavoro va creato da queste parti, facendo leva sulla bellezza e la ricchezza dell’ambiente naturale che dice acqua, verde, salute. Infine, la cultura significa garantire la presenza della scuola senza se e senza ma, lasciando da parte astratte aritmetiche dell’efficienza. Ad Amatrice sorge un istituto onnicomprensivo da far invidia, grazie a Sergio Marchionne. Al suo interno c’è in bella mostra un oggetto-simbolo: il motore della Ferrari. Per dire che è la scuola il motore della vita dei ragazzi. Don Milani diceva che era l’ottavo sacramento.

Basta la semplificazione burocratica e la strategia messa in campo finora per arrivare a quella rigenerazione di cui hanno bisogno questi borghi?

Di sicuro semplificare, velocizzare, concretizzare era ed è una necessità vitale. Dopo quasi 5 anni bisogna cominciare a vedere qualcosa. Ma la rigenerazione è un’operazione più complessa che attiene non solo ai cantieri, ma anche alle coscienze. Bisogna risvegliare la voglia di coinvolgersi da parte dei cittadini, spesso delusi e ormai rassegnati. Occorre vigilare perché la macchina statale a tutti i livelli sia efficiente e messa in grado di lavorare. Infine, si richiede un’attenzione di lungo periodo per far sì che queste terre tornino a vivere e non solo a sopravvivere.

Cosa le chiedono le persone che vivono in questi territori?

Di tornare a casa. Specialmente gli anziani si interrogano sul tempo a disposizione. Si chiedono se ce la faranno a rivedere la loro abitazione spesso frutto dei sacrifici di una vita.

Cosa si aspetta dal nuovo governo?

Che dia seguito e sostenga l’impegno del Commissario Legnini, che non mi pare voglia essere un semplice ‘notaio’ della ricostruzione. È il governo però quello che decide i tempi, oltre che le risorse. Questo ci si aspetta, senza ulteriori ritardi.

(di Alessia Guerrieri, da «Avvenire» di domenica 7 marzo 2021)

Arredi liturgici, arte sacra e reliquie: concluso ad Amatrice il recupero dei beni culturali nella canonica di Sant’Agostino

Nell’ambito delle attività di rimozione e recupero delle macerie della canonica di Sant’Agostino di Amatrice, sulla quale si era abbattuta parte della torre campanaria della adiacente chiesa con il conseguente collasso dell’intero secondo piano dell’edificio, sono stati recuperati in questi ultimi giorni numerosi beni mobili conservati all’interno di una sala dove era stata allestita, prima del sisma del 2016, una raccolta d’arte sacra parrocchiale. Si tratta per lo più di paramenti e vasi sacri, suppellettili liturgiche, statue e dipinti devozionali che vanno dal XVII al XIX secolo. Le operazioni sulle macerie si sono rese necessarie non solo per il completamento della fase conoscitiva del complesso, ma anche per l’attuazione di ulteriori ed eventuali presidi per la cantierizzazione in sicurezza ai fini della ricostruzione e del restauro della adiacente la chiesa.

Tra i beni più rappresentativi recuperati in queste ultime ore si segnala il reliquiario a ostensorio contenente un’importante reliquia di san Giuseppe da Leonessa, il frate cappuccino morto nel 1612 nel convento di Amatrice dove fu inizialmente seppellito, che rappresenta non solo un oggetto di grande devozione ma anche un bene fortemente identitario per il territorio.

L’intervento che si è appena concluso – in cui è stato possibile, tra l’altro, il salvataggio di un giovane esemplare di volpe in evidente difficoltà da parte del Comando Stazione Carabinieri Forestale di Amatrice – è stato realizzato in stretta collaborazione tra l’Ufficio del Soprintendente Speciale per le aree colpite dal sisma del 24 agosto 2016 e la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Frosinone, Latina e Rieti. Le operazioni sono state possibili grazie all’opera dei Vigili del Fuoco di Rieti, insieme al personale dei GOS (Gruppi Operativi Speciali della Direzione Regionale del Lazio) coordinati dalla Direzione per l’Emergenza del Ministero dell’Interno che si sono avvalsi anche di un nuovissimo automezzo pesante con cabina pressurizzata. Alle operazioni di recupero dei beni culturali hanno collaborato i Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale – Task Force Unite 4 Heritage (Caschi Blu della Cultura) e i funzionari del MiBACT in sinergia con la Diocesi di Rieti e con il Comune di Amatrice che hanno agevolato non poco le operazioni anche sotto il profilo logistico. La soddisfazione di aver recuperato una quantità di beni superiore a quanto si sperava inizialmente si associa al risultato ottenuto grazie alla sintonia e all’impiego delle specifiche competenze e dei mezzi messi a disposizione dei soggetti coinvolti.

Il documentario “Polvere” sbarca al Festival di Venezia

Lunedì 7 settembre 2020 presso lo Spazio Incontri and VPB LIVE Channel dell’Hotel Excelsior del Lido di Venezia, nell’ambito della  77ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, si terrà la proiezione in anteprima del documentatio “Polvere“, una produzione Clipper Media in collaborazione con AREGOLADARTE, per la regia di Simone Aleandri.

Dal 2002 Amatrice ha avuto un Museo, dedicato al pittore rinascimentale Cola Filotesio, in cui erano raccolte opere d’arte di pregio, significative per il territorio. La notte del 24 agosto 2016, a causa del terremoto, il Museo è crollato, come il resto del centro storico. La sua direttrice, Floriana Svizzeretto, ha perso la vita sotto le macerie. Questo documentario ricostruisce il percorso di recupero delle opere d’arte ad Amatrice dopo il sisma, attraverso le storie delle persone che, dopo Floriana, se ne sono prese cura. Don Luigi, esile ma energico prete di montagna di 88 anni, è stato incaricato dalla curia di sorvegliare lo stato delle cose. Luciana, che lo aiuta in questa missione, ha addirittura recuperato gli arredi dalle chiese quand’erano ancora pericolanti. Vito ha perso il suo negozio di antiquariato, ma continua a restaurare statue. Mentre Cico, giovane scultore, insegna ai bambini di Amatrice a esprimere i traumi attraverso l’arte. Brunella, una delle migliori amiche di Floriana (insieme a lei aveva immaginato il Museo), ora lavora per il Comune e, tutte le volte che entra in zona rossa, fa i conti con i propri ricordi. Amatrice diventa così emblema del modo in cui l’arte viene tutelata e reinventata per ricostruire le comunità, la memoria e la coesione sociale.

Canonica chiesa di Sant’Agostino di Amatrice: iniziato l’intervento di messa in sicurezza

Sono iniziate il 1 settembre – con il supporto di mezzi dei Vigili del fuoco – le operazioni di rimozione e recupero delle macerie per la riduzione delle criticità nell’area della canonica della chiesa di Sant’Agostino di Amatrice.

La chiesa, che rappresenta una delle più rilevanti testimonianze degli insediamenti degli ordini mendicanti sul territorio, risale al XIV secolo e, com’è noto, è stata fortemente danneggiata dalla sequenza di eventi sismici a partire dal 24 agosto 2016 e dai seguenti del 26 e 30 ottobre 2016 e del 18 gennaio 2017, ed è stata, sino ad oggi, oggetto di lavori di messa in sicurezza e parziale rimozione delle macerie.

Le attività previste sono necessarie al completamento della fase conoscitiva dell’adiacente chiesa e a poter porre in atto gli ulteriori eventuali presidi per la cantierizzazione in sicurezza dell’intervento di ricostruzione della chiesa di Sant’Agostino.

Il MuDa riapre i battenti, si torna a vivere l’arte attraverso la tecnologia

Torna a riaprire le proprie porte il MuDa, il Museo diocesano di Amatrice che permette di godere di alcune tra le più belle opere di arte sacra del territorio colpito dal sisma attraverso una particolare modalità di ricostruzione tridimensionale, da vivere attraverso un’apposita app.

Salvati dal terremoto, gli originali sono al momento custoditi nei depositi dei beni culturali della diocesi, in attesa di poter tornare nei luoghi di origine.

A partire dal 18 luglio, ogni sabato e domenica, la mattina dalle 10 alle 13 e il pomeriggio dalle 16 alle 19, nell’apposito padiglione attiguo all’area dell’Opera Don Minozzi i visitatori potranno ammirare attraverso i propri dispositivi o con i tablet messi a disposizione all’ingresso.

Terremoto e beni culturali: il coronavirus non ferma la ricostruzione

Le stringenti misure richieste dalla pandemia incidono senza dubbio anche sul processo di ricostruzione avviato in seguito al sisma del 2016. Per quanti vivono nelle Sae, il pericolo del contagio è un’ulteriore fonte di isolamento e disagio. Si respira un’atmosfera sospesa, il cui tratto più evidente sono i cantieri, fermati dai decreti del Governo. Ma non tutto è in stallo: l’attività amministrativa procede ed è altrettanto importante di quella esecutiva. Sono attivi gli uffici del Commissario alla Ricostruzione, va avanti pure l’attività del Genio Civile, dell’USR Lazio, del MiBAC. E anche per l’Ufficio diocesano per i Beni Culturali e l’Edilizia di Culto il lavoro prosegue, rimodulato secondo le esigenze del momento.

Non è possibile svolgere sopralluoghi, verifiche o opere di edilizia, ma si va avanti con l’istruttoria dei progetti, si seguono le pratiche aperte, si lavora alle procedure da seguire per la realizzazione degli interventi previsti. C’è da completare l’iter delle messe in sicurezza – e anche in questo tempo di emergenza sanitaria può rendersi necessario qualche intervento urgente per la conservazione dei beni culturali – ma soprattutto c’è da lavorare sulla fase di ricostruzione vera e propria, che vede la diocesi impegnata su circa 80 edifici di culto.

Una notevole mole di pratiche, disegni, progetti che vengono seguiti in smart-working dagli operatori della diocesi. Vanno così avanti la rendicontazione dei progetti conclusi, i pagamenti alle imprese e ai professionisti, i rapporti con le amministrazioni locali e statali. Pure l’importante progetto di Casa Futuro continua il suo percorso verso la messa in cantiere, cercando di seguire il passo del cronoprogramma stabilito.

Fisicamente in ufficio c’è una sola persona, che coordina il lavoro, firma le carte, segue gli aspetti tecnici. E in attesa del ritorno degli operatori, i computer sono stati tutti radunati in un’unica stanza: un po’ per comodità, e un po’ per avere l’illusione di stare ancora a lavorare gomito a gomito, in attesa di poter fare a meno di chat e riunioni via skype.