Sergio: «quando si dona per chi è stato sfortunato è sempre bello e positivo»

Da una casetta Sae sita nell’ex campo Anpas che subito dopo il sisma ospitava le tende per gli sfollati arriva la voce di Sergio Bulzoni,  per 35 anni agente della polizia municipale del comune di Amatrice.

E il ricordo corre inevitabilmente alla notte che ha cambiato la sua vita e quella dei suoi familiari: «siamo usciti tutti miracolosamente illesi dal palazzo completamente lesionato, circa un’ora grazie all’aiuto dei soccorritori dopo siamo riusciti a far uscire due signore anziane inferme».

Pur restio ad abbandonare la propria terra, dopo quindici giorni in tendopoli Sergio decide di accettare la possibilità di alloggiare negli alberghi della costa adriatica: «io e mia moglie, ma poi abbiamo capito che la tenda non era una sistemazione consona per due persone pensionate, per cui ci siamo trasferiti in hotel: siamo arrivati lì il 15 settembre e ci siamo rimasti per nove mesi».

A giugno per la coppia arriva il momento della consegna della casetta: «non vedevamo l’ora di tornare nella nostra terra, in questa nuova realtà mi trovo abbastanza bene, sono amico di tutti».

«Le casette sono confortevoli,anche se forse sistemazioni come quelle realizzate all’Aquila dopo il sisma del 2009, avrebbero permesso un rientro più veloce da parte di noi cittadini ad Amatrice, ma non mi lamento: sono state realizzate tante opere dopo il terremoto grazie alle donazioni ricevute, non condivido pienamente il modo in cui sono stati spesi, forse questi soldi potevano essere stanziati per la ricostruzione, ma va bene cosi, quando qualcuno dona nei confronti di chi è stato più sfortunato è sempre un fatto bello e positivo».

Sul futuro Sergio non nasconde il suo ottimismo: «dato il mio affetto nativo, spero che il paese venga ricostruito il prima possibile, con l’aiuto delle istituzioni che finora hanno un po’ latitato, ma siamo già ripartiti grazie alle attività economiche che hanno deciso di riaprire nonostante le mille difficoltà».

In ultimo, un appello ai suoi compaesani: «trovandoci tutti ancora in questo disastro, dobbiamo collaborare tutti per la ricostruzione, spendiamo in loco e non fuori, dobbiamo far girare l’economia nel nostro paese, solo così riusciremo a ripartire».

La signora Elvira spera in un futuro migliore per i suoi nipoti

Poggio Castellano è una delle frazioni di Amatrice più popolate. Dopo il sisma del 2016 ospita la maggior parte delle famiglie che ora vivono nelle Sae raggruppate in tre villaggi.

In una della casette arancioni vive la signora Elvira Norcini che si lascia andare al racconto della sua vita dopo il terremoto.

«Abitavo in uno dei tanti vicoli del paese, dopo la forte scossa della notte del 24 agosto sono uscita subito da casa insieme a mio marito e mio figlio: la porta non si apriva, per fortuna avevamo una piccola finestrella a pianterreno che ci ha permesso di passare. Poi sono corsa da mia figlia e dai miei due nipoti, che abitavano a poichi passi da me. Per fortuna la casa era in piedi, sono usciti tutti e tre illesi in mezzo al viale ricoperto da polvere, tra buio, paura e puzza di gas».

La sera stessa viene allestita la tendopoli nell’area vecchio campo sportivo, così Elvira e la sua famiglia si trasferiscono in tenda, dove rimarranno per un mese e mezzo.

«Siamo stati 45 giorni in tenda con la mia famiglia e quella di mia figlia, abbiamo lasciato la tenda il 10 ottobre per trasferisrci in una casa messa a disposizione da un’amica di famiglia a Poggio Castellano. Ma la notte non riuscivamo a stare in casa, dormivamo in roulotte per paura che il terremoto tornasse».

Una vita che prosegue lentamente per 15 mesi, con un ricordo tragico alle spalle ed un futuro nebuloso ed incerto, e con scosse continue che riportano alla paura: «abbiamo accusato quella del 30 ottobre, ma soprattutto quelle del 18 Gennaio, eravamo costretti nella roulotte con due metri di neve all esterno, tra enormi difficoltà incontrate soprattutto nel trasportare mio marito al Pass medico, colpito da attacco cardiaco».

Dopo un quasi un anno l’assegnazione della Sae da 40 mq nella seconda area di Poggio Castellano.

«Siamo entrati a vivere nella nostra casetta 20 Marzo 2018, siamo in tre, io mio marito e mio figlio che lavora nelle Marche. Non essendo residente dormiva sul divano letto».

Durante il giorno la signora passa il tempo a cucire e a fare la casalinga: «purtroppo ho il rimpianto di non aver recuperato la mia macchina da cucire nelle poche volte che sono entrata a casa nella zona rossa con i vigili del fuoco».

Elvira non vede futuro per lei, ma il suo messaggio di speranza è per le nuove generazioni: «siamo catapultati in una realtà che non è la nostra e siamo in casette dove non prende il telefono, con mio marito cardiopatico abbiamo viviamo nella paura di non poter telefonare in caso di un suo malore, spero in un futuro migliore per i giovani e per i miei due nipoti».

La signora Domenica: «Non ho potuto recuperare niente, nemmeno un fazzoletto»

Continua senza interruzioni il servizio di  prossimità degli operatori Caritas nelle aree Sae di Amatrice, Accumoli e zone limitrofe.

Questa volta li abbiamo seguiti in località Fonte Del Campo, frazione di Accumoli: ad aprirci la porta della sua casetta è stata la signora Domenica, classe 1934, una vita tracciata come tante dal solco indelebile del prima e del dopo sisma.

«La mia vita, fin da bambina, è stata colma di sacrifici. Per guadagnarmi una casa e una stalla svolgevo lavori agricoli come mungere e portare al pascolo gli animali. Una volta terminato andavo a controllare i muratori che stavano costruendo la casa di mio figlio e nello stesso tempo mi occupavo di lui», racconta Domenica, che ha difficoltà a camminare per via di interventi chirurgici subiti al collo e alla gamba.

Il ricordo va sempre alla notte del 24 agosto 2016: «fortunatamente dormivo da mio figlio, ma la mia casa è crollata. Non ho potuto recuperare niente, nemmeno un fazzoletto di carta».

La signora Domenica subito dopo il sisma è stata portata dal figlio, prima sul litorale di San Benedetto e successivamente a Grottammare, «mentre ero lì in albergo mi sono presa un broncopolmonite che mi è durata tre mesi perché il clima era umido e non ero abituata. Nei giorni successivi mi è stata affiancata una badante, mi portava a camminare sul lungo mare in carrozzina e mi faceva divertire con sabbia, palette e secchielli come fossi una bambina!»

A ottobre al figlio viene assegnata la Sae e Domenica torna nei suoi territori, «abito in una casetta da 40 metri quadri, mi trovo bene nonostante sia molto stretta, soffro un po’ di solitudine, passo le giornate a guardare la televisione e ad aspettare mia nipote, ma il pomeriggio mi faccio portare a casa di mio figlio, almeno sono in compagnia».

La testimonianza di Flora, una voce da Cittareale tra spopolamento e speranza

«La notte del 24 agosto è stata inimmaginabile, terribile, pensavamo che i danni si fossero verificati qui a Cittareale, ma poi uscendo ci siamo accorti che qui non era successo nulla e che la casa stava bene». Inizia così il racconto della signora Flora, un’insegnante in pensione che vive a Cittareale, uno dei comuni colpiti dal terribile sisma che ha devastato il centro Italia.

«Ci siamo messi al sicuro in uno spazio all’aperto – prosegue Flora – ci siamo assicurati di stare tutti bene e poco dopo siamo venuti a conoscenza della distruzione che aveva devastato Amatrice e Accumoli, dove ho vissuto dai due ai diciotto anni; mio figlio con un gruppo di amici ha organizzato una squadra diretta ad Amatrice per prestare soccorso, sono arrivati con la macchina fin sotto l’ospedale Grifoni, poi a piedi hanno iniziato a camminare su cumoli di macerie scavando dov’era utile e possibile».

Con la tristezza e la paura negli occhi la signora Flora ha continuato a raccontarci i giorni e i mesi che si sono susseguiti al 24 agosto. Vivendo con la madre di 97 anni, non ha mai potuto lasciare la propria abitazione, trovandosi costretta a dormire vestita e seduta sul letto per paura che da un momento all’altro il terremoto tornasse a scuotere le loro vite.

«Il presente non è dei migliori, il paese ha avuto una crisi di spopolamento dovuta al sisma, chi aveva la possibilità di seconde case altrove è andato via, qualcuno torna ogni tanto per controllare la situazione, ma altri da quella notte non sono più tornati a causa della paura che non passerà mai. Le giornate sono diventate interminabili: non tanto la mattina, che con i lavori di casa passa abbastanza velocemente, ma il pomeriggio, seduti davanti alla televisione, diventa tutto più difficile, e il silenzio che c’è fuori, provoca una tristezza nell’animo».

Vita nelle Sae di Retrosi, «ci mancano gli scherzi dei bambini»

Continuando il giro delle aree sae di Amatrice, passando a Retrosi ci ha aperto le porte della sua casetta la signora Maria Rita di Sisto.

Abitante di Retrosi fin da piccola, Maria Rita tra le lacrime ci ha raccontato i ricordi che la legano a questa terra, che sono stati poi il desiderio che l’ha spinta a tornare dopo il sisma: «subito dopo il terremoto sono scappata insieme a mio marito a Roma da mia figlia, ma il nostro desiderio più grande era quello di poter restare qui nella nostra terra, purtroppo però non avevamo nessuna soluzione che ci permetteva di restare. Così, siamo rimasti molti mesi a Roma, portando avanti la nostra vita pensando ai ricordi, l’unica cosa che ci resta».

Maria Rita ci racconta i mesi trascorsi forzatamente a Roma, «domandandoci dove fossero finite le nostre cose della vita pre sisma, anche una semplice forchetta».

Ora, insieme al marito Pino, abita in una della Sae di Retrosi, con la metratura di 40 metri quadrati assegnata alle coppie: «abbiamo preso la casetta da qualche mese,  siamo stati i primi ad entrare in casetta in questo villaggio. Ci sta stretta, soprattutto perché ci mancano le abitudini delle case precedenti, o meglio manca un qualcosa che ancora non riusciamo a capire,  persino quel bicchiere dove tutte le mattine prendevo il caffè, o le scale della cantina che facevo di continuo nell’arco della giornata».

Il suo racconto è un misto di rabbia e commozione, che include il disagio e la tristezza di dover ospitare le figlie a turno, una ogni quindici giorni, facendole arrangiare su un divano letto,  «dovevano darci metrature più grandi, per permettere ai figli di andare a trovare i genitori anziani residenti qui».

Essendo Amatrice un territorio con popolazione prevalentemente anziana, lo stesso vale per le frazioni, inclusa Retrosi. La signora Maria Rita sente la mancanza della presenza gioiosa e spensierata che solo i piccoli sanno dare «ci mancano i bambini, qualche famiglia con figli è andata via senza tornare, mentre qualcuno prima lo vedevamo solo l’estate, ma ora nemmeno quello perché purtroppo le casette ai non residenti non sono state assegnate, mancano le urla dei bimbi che scherzano e corrono in strada, c’è troppo silenzio».

Un altro disagio che fa sembrare tutto ancora più cupo, è il buio: «la strada qui sotto è buia, non abbiamo illuminazione, l’abbiamo più volte segnalato alle istituzioni, ma senza successo. Il buio amplifica tutto, è come non ci fosse vita».

Nelle Sae guardando al futuro di figli e nipoti. La storia di Nuvoletta

Non si ferma la ricognizione dei bisogni dei residenti nei comuni colpiti dal terremoto. Gli operatori della Caritas portano avanti sul territorio un’attenta opera di ascolto. Anche nelle aree Sae (Soluzione abitativa in emergenza), come quella della frazione amatriciana di Retrosi, dove vive Nuvoletta, una signora di circa 70 anni. Le è stata assegnata una casetta delle quattordici messe a disposizione delle famiglie che nella notte del 24 agosto hanno perso la propria abitazione. Ottanta metri quadrati in tutto, da dividere con la sorella, il cognato e i due nipoti.

«Ringraziando il Signore ci siamo salvati tutti», dice davanti ad un caffè, visibilmente commossa: «ci siamo arrangiati in cinque in un piccolo container, cercando più o meno di vivere come prima, senza abbandonare le tradizioni e la quotidianità che eravamo abituati a vivere, sempre e comunque tutti insieme».

La famiglia ha aspettato l’arrivo della Sae per più di un anno, ma «paragonandola al container dove ci eravamo sistemati sembra un castello». Anche se «non è il nostro tipo di casa: le Sae sembrano più adatte per il mare che per la montagna, o almeno per noi paesani. Ci manca il camino che tutti avevamo in casa, e soprattutto ci mancano le nostre cantine, dove mettevamo le nostre caciotte e dove ognuno di noi, rientrando dalla campagna, lasciava i suoi stivali».

È uno stato d’animo comprensibile quello di Nuvoletta, costretta ad abituarsi a una casa che sente sua: «mi sento in una casa, non a casa, non la mia; ci sembra di stare in vacanza, una vacanza che nessuno sa dirci quanto dura. Le chiamano soluzioni abitative di emergenza, per noi sono soluzioni abitative eterne».

Una considerazione dura, che richiede una pausa. Poi il pensiero torna a rivolgersi al futuro, soprattutto quello dei più giovani, dei nipoti che si ritrovano in un territorio devastato: «auguro loro la migliore delle vite – spiega – ma mi domando se, volendosi sposare, come coppia potranno mai avere una loro casa. La potranno costruire?».

Dubbi legittimi, di chi ha ha penso nel sisma ogni certezza, ogni riferimento, ma nonostante lo spavento continua a sperare per il meglio. Come lei molti altri anziani vivono nella consapevolezza di non poter vedere ricostruito il borgo tanto amato, certamente non com’era prima della notte terribile in cui la terra ha tremato. E tutti condividono le stesse ansie sul futuro dei figli e dei nipoti, ai quali è affidata la scommessa sul futuro di una terra bella e a suo modo generosa, ma anche difficile.

La signora Filomena: «curo i miei fiori per non pensare a quella notte»

Filomena Ippoliti ha quasi ottant’anni, e vive in una Sae di quaranta metri quadri nell’area Trentino.

In quella casetta ieri ha ricevuto il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente di Caritas italiana, il quale oltre a visitare le strutture ha voluto portare una parola di conforto alle persone provate da tanta sofferenza.

«Una visita inaspettata che mi ha fatto molto piacere, tutta questa vicinanza ci aiuta ad andare avanti e ci fa capire che nessuno si sta dimenticando di noi e del nostro dolore», dice la signora, visibilmente commossa da una piccola sorpresa quotidiana in tante giornate l’una uguale all’altra. Prima del terremoto del 24 agosto 2016, la sua casa era in un condominio di Amatrice, nella frazione Casaletto.

”Quella” notte, sparitacque di tante esistenze, la nipotina di 15 anni doveva dormire da lei, ma poi i fili del destino tramarono in un’altra direzione: «durante l’estate aveva conosciuto un ragazzo con cui si era fidanzata e visto che venire a dormire a casa mia significava dover rientrare presto ha preferito stare a casa sua, aspettando i genitori che chiudevano il proprio negozio in tarda nottata».

Un cambio di programma che è stato fatale alla ragazzina, e un tratto del racconto in cui gli occhi di nonna Filomena non possono non inondarsi di lacrime: «con me la notte tra il 23 e il 24 agosto ha dormito solo il fratellino, che cosi è scampato al terribile crollo che ha portato via la mamma e la sorella. Da quell’inferno di macerie è uscito illeso solo il padre, che ora si occupa di lui».

Filomena cerca di andare avanti come può, ma il dolore per la perdita della figlia e della nipote è troppo grande, e ancora troppo fresco: «passo le giornate a curare il piccolo giardino che ho qui fuori per scacciare il ricordo di quella notte, a volte mi trovo a farlo anche nel silenzio della notte quando non riesco a prendere sonno, senza che nessuno mi veda».

 

Viaggio tra le Sae con gli operatori Caritas, tra problemi e speranza per il futuro

Gli operatori della Caritas si recano periodicamente nelle casette di Amatrice ed Accumoli, per raccogliere confidenze ed eventuali difficoltà degli abitanti, ed offrire supporto alle loro esigenze. Le conversazioni sono spaccati di vita quotidiana, stralci di ricordi, iniezioni di speranza e momenti di sconforto.

«Avevamo casa nel centro storico di Amatrice, in pochi secondi ci siamo trovati in mezzo alla strada senza più niente, ma fortunatamente sani e salvi», dice Monia raccontando quei tragici attimi in cui persero la vita molti amici e parenti. Monia è madre di due bambine, e ora abita insieme alla famiglia in una Sae dell’area Colle Magrone 2 dopo più di un anno trascorso in un hotel di San Benedetto del Tronto.

Il numero degli alloggi Sae (soluzioni abitative d’emergenza) finora assegnati nella regione Lazio sono 687. Nel comune di Amatrice fino ad ora sono state consegnate 488 casette, nel comune di Accumoli 199.

Per la famiglia di Monia il ritorno non è stato semplice, «dovevamo spostarci di nuovo dopo aver raggiunto un po’ di tranquillità e stabilità e bisognava prendere una decisione sul far tornare o no le bambine nei luoghi circondati solo da macerie», racconta con gli occhi lucidi. La figlia minore ci tiene a mostrare il peluche di “Titti il canarino”, l’unica cosa recuperata dalle macerie.

Il discorso Sae viene affrontato con meno emozione, «nella nuova sistemazione ci troviamo bene, siamo circondati da amici e le nostre figlie sono state nel accolte da compagni di scuola e vicini di casa». Tuttavia, i problemi affrontati nei Sae sono molti, come il congelamento dell’acqua delle caldaie posizionate all’esterno delle casette dove d’inverno si arriva anche a -18°.

«Non posso credere che nessuno abbia pensato al fatto che qui dentro non prende il segnale del telefono, soprattutto considerando che la maggior parte degli abitanti sono anziani – racconta Monia con rabbia – bisogna andare di fuori al freddo per poter fare una telefonata». Il problema della mancanza del segnale è un problema diffuso, che pare dipenda dagli accorgimenti di isolamento e schermatura di cui le casette sono dotate.

«Non è stato facile poter ritornare ad Amatrice, le bimbe si erano abituate ormai a San Benedetto e si erano integrate nella scuola materna, si è trattato di tornare in un luogo dove in quel momento non c’era neanche un negozio dove fare la spesa». Eppure nonostante le difficoltà del presente negli occhi di Monia c’è grande speranza nel futuro.