Sette anni dopo, ricordando le vittime del sisma

Primo anniversario del sisma di Accumoli e Amatrice, per il vescovo Vito. Terre e comunità già visitate più volte da monsignor Piccinonna, ma che oggi, quando il calendario segna la data 24 agosto, si uniscono insieme nella commemorazione delle loro vittime, con il pensiero che va, inevitabilmente, a quello che accade quella terribile notte del 2016.

La silenziosa veglia notturna è stata svolta in grande raccoglimento, con una fiaccolata verso il monumento alle vittime del sisma sito nel Parco Minozzi, dedicata alla preghiera e al ricordo di tutte le persone decedute, al rintocco delle campane.

Il mattino successivo, ritrovo dei cittadini presso la cavea dell’Auditorium della Laga, dove è stata celebrata la Santa Messa presieduta dal vescovo. L’altare, a protezione del forte sole di montagna, è stato posto sotto il gazebo della Croce Rossa Italiana: simboli ed immagini che riportano agli aiuti, ai sostegni, alle corse frenetiche ai soccorsi di sette anni fa. In prima fila le autorità, le forze dell’ordine che svolsero un ruolo tanto prezioso, il Commissario alla Ricostruzione Guido Castelli, fermato da molti per chiedere lumi e tempi sul futuro di questi territori.

«Questa celebrazione eucaristica vuole essere per tutti noi motivo di affidamento al buon Dio anzitutto dei nostri cari, i cui nomi sono scritti non solo nel nostro cuore ma, per l’eternità, nel cuore stesso di Dio; ma è anche motivo di affidamento di noi stessi e delle nostre vite, dei nostri scoraggiamenti ma soprattutto delle nostre speranze. La Parola che abbiamo ascoltato viene da Dio, è suo dono, è Lampada che brilla in luogo oscuro finchè venga la luce, perciò è parola degna di fiducia, come nessun’altra», ha detto nell’omelia don Vito.

«Solo Dio ha parole competenti e affidabili per i nostri cuori perché, nonostante dubbi e fatiche, camminiamo nel bene, prendendoci per mano, sostenendoci a vicenda, mai disperando. Come Pastore di questa terra martoriata e ferita sento di esortarci reciprocamente anzitutto ad essere e a fare comunità e a tendere molto a questo. Abbiamo bisogno di essere salvati dalla solitudine e dalla dispersione, dalla tristezza e dallo sconforto che ci portiamo tutti dentro. È solo Gesù, la Speranza fatta carne, a salvarci, a farci ripartire continuamente, talvolta anche rivedendo i nostri modi, le nostre prospettive, le nostre “certezze”».

Il richiamo va a Bartolomeo apostolo, di cui si fa memoria proprio il 24 agosto.

«È uno dei Dodici, chiamato ad una particolare intimità col Maestro. L’altro apostolo, Filippo, gli comunica una bella notizia: finalmente abbiamo trovato l’Atteso, Colui di cui parla tutta la Sacra Scrittura, il Messia, Gesù di Nazareth. Bartolomeo non sembra affatto un credulone, non si lascia sedurre facilmente, anzi tiene alte le sue difese; tra l’altro sentire di uno che viene dalla sconosciuta Nazareth non sembra proprio aprire buone possibilità…eppure la scelta di Bartolomeo di non rimanere arroccato sulle proprie posizioni, aiutato dal Vieni e vedi di Filippo, fa ripartire la vita secondo vie inedite e non precisate, in una amicizia col Signore che sarà portatrice di una promessa che può far aprire il cielo, quel cielo che dal 24 agosto di sette anni fa anche a noi sembra chiuso».

La gente si commuove, sotto il sole cocente: ci sono i gonfaloni dei Comuni, il coro, i sacerdoti del territorio, le religiose e i religiosi che tanto si adoperarono per supportare, asciugare lacrime, abbracciare durante i dolorissimi riconoscimenti delle salme. Tra la polvere, le urla, i feriti. Momenti che tornano in mente, guardando il paesaggio tutt’intorno, che porta ancora pesantemente i segni di quello che accadde.

Il vescovo Vito riporta alla speranza, alla fiducia nel futuro e nell’affidamento al Signore: «Siamo qui a coltivare la fiducia nel Dio di Gesù Cristo che non ha smesso di esserci Padre e mai lo farà! Questa pagina del Vangelo ci ricorda oggi che qualcosa di nuovo accade solo quando riusciamo a fare comunità. È questa la premessa e la forza liberante per tutto. Bartolomeo senza Filippo sarebbe rimasto al riparo, in difensiva ma comunque solo e senza la possibilità di conoscere Gesù, l’Uomo‐Dio che da Nazareth, da dove nessuno avrebbe scommesso un centesimo, veniva a portare luce a tutti coloro che erano nelle tenebre e nell’ombra di morte. Di questa Luce ne sentiamo oggi più che mai profonda nostalgia e desiderio. E si offre a ciascuno, gratuitamente ma almeno con l’impegno di desiderarla. Benedetta la nostra vita, cari fratelli e sorelle, quando ci accorgiamo degli altri e, anche in memoria dei nostri cari, con tenerezza, ci disponiamo ad accogliere, a non lasciare ai margini, a fare comunità perché solo un più grande e forte senso di comunità ci potrà aiutare ad accorgerci che, nonostante tutto, il cielo su di noi non è rimasto chiuso: sì, una comunità più forte del terremoto! E il Buon Dio doni a ciascuno, secondo le proprie responsabilità, di fare bene il bene, senza risparmiarci».

L’Orchestra Fiati “Insieme per gli Altri” in favore di Amatrice

Per non dimenticare e sostenere il Comune di Amatrice,  lOrchestra Fiati Insieme per gli Altri il giorno del 26 agosto alle ore 21.00 presso l’ Auditorium , si esibirà in un concerto  a sostegno della città.

Prima dellesibizione si terrà una toccante cerimonia di deposizione di una corona in ricordo  delle numerose vittime del sisma.


Levento è stato organizzato con il patrocinio del Comune di Civitanova Marche (MC), e ha visto la fattiva e preziosa collaborazione in prima persona del Sindaco, Fabrizio Ciarapica.


Lorchestra Fiati Insieme per gli Altri”, al termine del concerto, farà dono di alcuni strumenti  musicali in favore della scuola di musica di Amatrice.


 Lorchestra Fiati Insieme per gli Altriè nata ad ottobre del 2019 per  volontà di Francesco Di Mauro (prima tromba) Andrea Mennichelli (direttore artistico),  Gianni Silvi ( presidente) Dario Matteucci ( Vice presidente) Angelo Sopranzi (consigliere) e ha tenuto il proprio battesimo a dicembre dello stesso anno. Unisce una cinquanta  appassionati musicisti che condividono l’esperienza del fare musica come elemento  aggregante, motivo di socializzazione e di partecipazione attiva al linguaggio dei suoni.


L’idea di fondo è quella di proporre buona musica esclusivamente a scopo benefico. musicisti che si esibiscono, infatti, non percepiscono alcun compenso e ad ogni concerto è  collegata una raccolta fondi in favore di associazioni di volontariato.


Sono già 30 i concerti allattivo che propone un repertorio ricco e variegato: dal Blues, al  Jazz e alle colonne sonore di famosi film, con omaggi a maestri del calibro di Astor Piazzola  ed Ennio Morricone, con la presenza di oltre 5.000 spettatori.


Riapertura Santa Maria Assunta: Borbona ha di nuovo la sua chiesa

«Lasciamoci sfidare dal futuro» citando il filosofo Bauman, il vescovo Domenico ha inaugurato con una celebrazione eucaristica la chiesa di Santa Maria Assunta, conosciuta anche come Santa Maria Nuova, in Borbona. La cerimonia, avvenuta nel pomeriggio di lunedì 28 giugno, ha radunato istituzioni e cittadini, emozionati di poter finalmente tornare nel centralissimo edificio.

La particolarità di questa chiesa, come spiegato dall’architetto Marco Lucandri, coordinatore dell’intervento, sta nella sua pianta circolare. Allo stesso tempo, però, questa caratteristica è stata anche la fragilità dell’edificio, che ha riportato i suoi danni maggiori proprio in corrispondenza della cupola e delle volte laterali. Gli interventi, si sono concentrati dunque sul consolidamento delle volte e sulla ricostruzione sia dei tetti laterali più bassi che del tetto sopra la cupola, rafforzato con una cerchiatura d’acciaio. «Per ripristinare la cupola è stata adottata una tecnica innovativa, quella del coccioforte, un sistema di rinforzo che consente tuttavia la reversibilità».

«Riapriamo ufficialmente questa chiesa dopo il tempo del terremoto ed è questo segno di grande speranza perché significa tornare alla dimensione abituale» ha affermato don Domenico, sottolineando, però, che la ricostruzione non deve essere vista solo come un fatto economico o tecnico ma anche culturale e spirituale perché «non basta che arrivino flussi di denaro se poi non ci sono le persone giuste capaci di orientare il capitale verso il bene comune».

Rivolgendo poi lo sguardo all’esterno, il vescovo ha fatto riferimento ai lavori in corso per il Centro di Comunità, luogo di incontro, e alla RSA, dove vengono custoditi gli anziani. «In questa triangolazione si delinea qualcosa che ha a che fare con la Borbona del futuro che sì, è una piccola comunità, ma è importante che dopo 5 anni si cominci a delineare una prospettiva in cui si recuperino gli spazi per la vita sia ecclesiale che sociale. Perciò – ha concluso – questo giorno di festa deve essere un segno di volontà a ricostruire non guardando le nostre spalle, ma
mirando avanti con fiducia».

Prima della conclusione della messa, don Ernesto Pietrangeli, parroco di Borbona ci ha tenuto a ringraziare personalmente tutte le persone che hanno contributo alla realizzazione del progetto e, con la voce rotta dall’emozione ci ha tenuto a condividere un suo intimo ricordo. «Questa è la chiesa dove seguivo la messa da bambino e dove, da giovane, celebravo. Negli anni ottanta e novanta era piena di fedeli e si respirava fede in ogni angolo. Mi auguro che questo possa continuare anche ora con le nuove generazione perché questi edifici non sono monumenti ma un luoghi di fede».

Si è unita ai ringraziamenti anche Maria Antonietta Di Gaspare, sindaco della città, che, riprendendo l’asse proposto dal vescovo, quello tra la chiesa di Santa Maria Assunta, il venturo Centro di Comunità e la Rsa, ha aggiunto un ulteriore tassello: il centro storico. «riteniamo che, nel proiettarci nel futuro, la memoria possa essere il volano del domani che abbiamo il dovere di trasmettere ai nostri giovani. Queste comunità, seppur piccole, nascondono un trascorso e un passato e in questi luoghi dobbiamo creare un futuro per tutti» ha concluso.

Tanto l’entusiasmo tra i fedeli, consolati così dall’assenza dei festeggiamenti in onore di santa Maria del Monte, in coincidenza con l’ultima domenica di Giugno. «Non è cambiata per niente» ha detto la signora Dina. L’unica differenza infatti sta nell’esposizione della Croce Processionale, ora visibile a tutti grazie alla protezione di una teca posta ai margini dell’altare.

Un anno senza don Angel, una lezione tutta da imparare

Chissà cosa avrebbe detto Angel della situazione che stiamo vivendo. Probabilmente prima avrebbe sgranato un po’ gli occhi neri o abbozzato un sorriso: e poi avrebbe accettato ogni regola, ogni restrizione e ogni sacrificio senza battere ciglio, in obbediente silenzio.

Don Angel Jiménez Bello, dal settembre 2018 parroco di Amatrice, si spegneva l’8 maggio 2019 a soli 35 anni in un ospedale romano, a seguito di una malattia che non gli ha lasciato scampo.

«Il suo desiderio era annunciare il Vangelo con la vita. E ce ne siamo accorti sia come parroco con il suo rigore, la sua intelligenza, la sua simpatia; sia come malato con la sua dignità, il suo coraggio, la sua delicatezza. Una forza alimentata da mondo interiore, cui attingeva energia e fiducia, ben oltre l’umano, da una fede che non l’ha mai abbandonato», disse il vescovo Pompili durante l’omelia per il suo funerale, al palazzetto dello sport di Amatrice.

Angel sapeva attingere coraggio da qualsiasi cosa lo circondasse. Ed è con grande disciplina e dignità che ha affrontato i giorni della sua malattia, con la speranza di scalare di nuovo le sue montagne peruviane.

E la «sua consegna» il vescovo Domenico l’ha evocata proprio attraverso un’immagine che ritrae il sacerdote «nel bel mezzo di stupende montagne e ordinatissimi terrazzamenti»: un paesaggio andino che dà le vertigini, come la promessa della vita eterna. Una speranza propria del pastore «che si dà da fare per accompagnare gli altri sui sentieri più alti». E se anche su quelle vette, sotto il cielo terso «Dio sembra allontanarsi e diventare invisibile», in realtà «Lui è sempre con noi».

È sempre con noi anche adesso, dopo un anno. La sua lezione di vita non è facile da dimenticare, per chi lo ha conosciuto bene, e le sue parole, specie quelle dei suoi ultimi giorni di vita, ti restano impresse dentro come monito per i tuoi giorni a venire.

«Se da Dio accettiamo il bene, perché non dobbiamo accettare il male?», ripeteva sempre, e lo ha ripetuto fino all’ultimo giorno, stupendosi come un bambino della rabbia diffusa, del sentimento di ripicca e malcontento sempre più comune.

Persone sempre insoddisfatte, pronte a farsi la guerra, restie e a sorridere. Lui non capiva, alzava le spalle e allargava le braccia con le ultime forze che aveva, a sottolineare il bello della vita che molti non riuscivano proprio a cogliere.

Lui quel bello lo trovava ovunque. In un raggio di sole che filtrava dalla finestra della sua stanza in ospedale, nel gelato al caffè che gli veniva portato, negli spicchi di un’arancia, «buona e succosa», nelle barzellette metà peruviane e metà italiane che lo facevano tanto ridere, per le ironie diverse e contrapposte.

Non si è mai arreso padre Angel, non ha mai spento il suo sorriso e la sua simpatia tutta sudamericana, continuando ad «avere pazienza senza mai mollare». Dal letto dell’ospedale San Camillo Forlanini, tra una dolorosa terapia e l’altra, arrivavano ogni giorno i suoi buenos días accompagnati dalle emoticon divertite, perché «bisogna tenere alto il buonumore, per aiutare il fisico, perché si riprenda presto».

Don Angel ha studiato e monitorato la sua parrocchia fino all’ultimo, meditando di tornare presto nel paese minato dal terremoto in cui era stato chiamato a prestare servizio pastorale, e appena possibile nel suo amatissimo Perù, dove ha lasciato i genitori e sette fratelli maggiori.

Durante la lunga e difficile degenza, è stato felice di aver potuto celebrare in Quaresima la Santa Messa in ospedale, utilizzando un altare di fortuna. Felice di ricevere visite, di ascoltare una bella canzone, di leggere un bel libro o vedere un film. Felice di ascoltare i racconti di ciò che accadeva fuori oltre il vetro della sua finestra. E la domenica lo era ancor di più, perché «è domenica, e quindi sto bene».

Una felicità scovata con la forza della fede nel marasma della grande sofferenza: una felicità che è stata la più grande lezione che si potesse ricevere, e che don Angel ha saputo tirar fuori non solo nella consapevolezza di una malattia senza scampo, ma anche nei tanti momenti difficili della sua vita.

Una lezione dalla quale il popolo di Amatrice – che Angel ha tanto amato – dovrebbe attingere sempre, per non lasciarsi sopraffare da sentimenti di rabbia e risentimento, ma anzi sapendo trovare il buono che c’è nel prossimo e nella generosità ricevuta: solo così, con la forza e il coraggio della partecipazione attiva, la comunità potrà rigenerarsi e reinventarsi, e rinascere migliore di prima.

Alberghiero di Amatrice: la chef Barbara Agosti riceve un premio e fa lezione agli studenti

La chef internazionale Barbara Agosti ha ricevuto il Premio “Valore donna. Brava Barbara” durante una lezione con gli studenti e il personale del Centro di Formazione Professionale Alberghiero di Amatrice, dell’Istituzione Formativa di Rieti.

Nella sede reatina di via dell’Elettronica, ha consegnato il riconoscimento la direttrice del Centro di Amatrice Anna Fratini, ha consegnato il riconoscimento, nell’ambito della manifestazione Santa Barbara nel Mondo.

La presidente dell’Istituzione Formativa di Rieti Cinzia Francia, ha sottolineato l’importanza del cavilloso lavoro finora svolto sia dal CDA – nonostante il breve periodo trascorso dall’insediamento – sia dai dirigenti, nonché da tutto il personale dell’Ente. Anche a nome del Cda, la presidente ringrazia l’Associazione Santa Barbara nel mondo, che ha coinvolto l’Istituzione nel programma di questa edizione 2019.

Diverse le iniziative che vedono in prima linea il Centro di Formazione Professionale Alberghiero di Amatrice, dal convegno su bullismo e cyberbullismo che si è svolto ad Amatrice, a questo incontro con la chef. Il 5 dicembre gli studenti realizzeranno un buffet, nei locali della Caserma Verdirosi, a seguito del concerto della banda musicale del corpo nazionale dei Vigili del Fuoco che si terrà nella chiesa di San Domenico.

La Agosti, protagonista di una interessante lezione che ha affascinato gli studenti, ha spiegato la storia della carbonara, proponendo diverse varietà, dal tartufo al caviale. La regina della carbonara ha offerto una interessante lezione interattiva ai presenti, che hanno poi messo in pratica i suoi insegnamenti.

La chef si è anche detta disponibile ad accogliere, in stage, gli studenti del Centro di Formazione Professionale Alberghiero di Amatrice, nel suo ristorante romano, Eggs.

“Accumoli, le sue pietre, la sua memoria”: un convegno per recuperare e preservare l’identità culturale

Sabato 14 settembre a partire dalle 15.30 si terrà ad Accumoli, presso la “Sala Accupoli” il convegno “Le pietre e la memoria. Il patrimonio culturale del Comune di Accumoli tra presente e futuro”, incentrato sul patrimonio culturale del territorio flagellato dal sisma del 2016, organizzato dall’Associazione Radici Accumolesi con il patrocinio del Comune.

Al centro del dibattito le preziose ricchezze storiche e artistiche di Accumoli e delle sue frazioni, che rischiano di andare perse nell’incuria dell’oblio. Interverranno archeologi, storici dell’arte e architetti..

All’iniziativa parteciperanno archeologi, storici dell’arte, restauratori e architetti, con l’obiettivo di dibattere e confrontarsi su una ricchezza storica e artistica che rischia di svanire nel nulla dopo essere stata devastata dalle violente scosse del sisma di 3 anni fa. Il baratro dell’oblio rischia di risucchiare tutto un territorio la cui popolazione si sente abbandonata a se stessa nonostante le continue promesse di ricostruzione. Una ricostruzione di cui si è sentita finora pronunciare la sola parola. E proprio alle parole si affida l’Associazione Radici Accumolesi per cercare di capire come ricucire la trama della memoria di una comunità sempre più lacerata dalle scosse distruttive del 2016.

A sottolineare l’importanza del convegno, oltre alla partecipazione di studiosi dell’Università degli studi La Sapienza di Roma e della Diocesi di Rieti, l’inedita contemporanea presenza tra le macerie dei funzionari della Soprintendenza territoriale, che ancora stanno lavorando a vario titolo, sul patrimonio culturale accumolese.

Dopo l’introduzione di Renzo Colucci, presidente di Radici Accumolesi e del sindaco di Accumoli Franca d’Angelo, si svilupperanno le relazioni degli archeologi Alessandro Betori, Carlo Virili e Massimiliano Gasperini, della restauratrice Federica Di Napoli Rampolla, dello storico dell’arte Giuseppe Cassio, degli architetti Lorenzo Mattone e Tommaso Empler e di don Luigi Aquilini, pro vicario generale del vescovo di Rieti.

I temi andranno dal recupero delle macerie di interesse artistico agli interventi di archeologia preventiva, dalla conservazione del patrimonio storico-artistico alle prospettive di valorizzazione, dalla trasmissione dell’identità culturale alla messa in sicurezza dei beni da parte della Diocesi di Rieti, per finire con le proposte per un Museo del territorio di Accumoli.

I semi di pace di Illica trasformano le spine in fiori

Illica, frazione di Accumoli, era vissuta durante l’anno da pochissimi abitanti, qualche famiglia e poco più. Ma durante l’estate, soprattutto ad agosto, quando i vacanzieri tornavano a popolarla, sapeva dar vita a manifestazioni vivaci e folcloristiche, piccole ma animate da grande entusiasmo e gioia di stare insieme.

Fu proprio nel pieno di quel periodo di ripopolamento estivo che arrivò con la sua furia distruttrice il devastante terremoto del 24 agosto 2016, radendo la piccola frazione totalmente al suolo.

Nella sera del terzo anniversario del sisma, la piccola comunità ha voluto riunirsi all’aperto «in una serata di pace» per ricordare quelle tragica notte e le cinque vittime morte sotto le macerie di Illica: Giovanni Canestraro, Ana Huete Aguilar, Vinicio Valentini, Dina Bordo e Assunta Valeri.

Allestito come originale altare, al centro della spianata, un piccolo allestimento scenografico che conduce al crocifisso. Una stradina in salita, tortuosa, minaccianda da spine e rovi, a simboleggiare le difficoltà che ogni giorno le persone affrontano in questi luoghi.

«Eppure – ha detto il parroco don Stanislao Puzio – è proprio in questo percorso ad ostacoli al centro di questo deserto che dobbiamo trovare i semi di pace. L’anno scorso parlammo di paura, quest’anno invece vogliamo andare oltre, e parlare di pace, amore, grazia e voglia di andare avanti, perchè nel turbamento dell’incertezza del futuro saranno solo questi sentimenti a salvarci, con l’aiuto del Signore».

Dopo la preghiera e il silenzioso raccoglimento, quella via lastricata di rovi posizionata tra i banchi all’aperto cambia radicalmente aspetto. «Se qualcuno dopo questa serata dirà che qui a Illica faceva freddo – dice don Stanislao -, le api laboriose non saranno certo d’accordo, diranno anzi che faceva caldo perchè erano solo in cinque, e dovevano fare più del dovuto».

E nella notte di Illica si fanno largo i colori sgargianti dei costumi di cinque bambine travestite da api, con le loro alette luccicanti, le antennine e le righe gialle e nere. Vivaci, operose e attive proprio come cinque giovani apette alle quali è affidato il gravoso compito di rimettere in piedi un intero alveare, le bambine hanno trasformato quella tortuosa via piena di spine in una sgargiante via fiorita.

Ciascuna con il proprio vaso variopinto in mano, in pochi minuti le apette hanno saputo capovolgere l’aspetto della via in salita: pur sempre in salita, ma ora cosparsa di colorata dolcezza, di musica e di miele.

A conclusione, il vescovo Domenico ha portato il proprio pensiero alle persone raccolte in preghiera, ricordando l’esempio di san Benedetto, «nato a soli pochi chilometri da qui, in un’epoca storica non meno difficile della nostra, devastata a suo tempo sia dal terremoto, ma anche dalle invasioni dei barbari e da tante altre calamità. Un uomo che, nonostante tutto questo, da qui ha fatto partire la ricostruzione dell’Europa».

Ora et labora, diceva san Benedetto. «Ma aggiungeva ancora qualcosa», ha detto monsignor Pompili. «San Benedetto diceva infatti prega, lavora e non lasciarti contristare: il senso di questo percorso fiorito è proprio questo, di non lasciarci mai contristare, perchè se questo accade anche la nostra capacità di resistenza e di creatività viene meno».

 

 

 

 

Pro Loco di Amatrice, inaugurata la nuova sede donata da Rivotorto di Assisi

Inaugurata sabato 3 agosto la nuova sede del punto informativo dell’Associazione Turistica Pro Loco di Amatrice: una giornata che ha costituito un altro importante tassello nei termini di una rinascita della normalità nel paese colpito dal sisma, e che ha inoltre sancito il consolidamento dell’amicizia con la Pro Loco Rivotorto di Assisi, donatrice della struttura.

«Una collaborazione tra le due associazioni da rintracciare proprio nella disgrazia del terremoto», dice la signora Maria Aristei Belardoni, presidente della Pro Loco di Rivotorto.

Assisi, come Amatrice, ha vissuto momenti drammatici in occasione delle scosse sismiche del 1997, e in quell’occasione, ricorda la signora Aristei «abbiamo ricevuto tantissima solidarietà da tutta Italia, tanto che la città è risorta quasi subito».

Nell’agosto 2016, alcuni giorni prima del sisma che ha devastato il Centro Italia, la Pro Loco di Rivortorto aveva appena concluso la “Rassegna degli Antichi Sapori”: un evento che fu subito riaperto a fini solidali sotto il nome “Una Amatriciana per Amatrice”.

Serate che servirono a raccogliere oltre sedicimila euro da devolvere alle popolazioni terremotate. «Un’iniziativa accolta con molto entusiasmo dalla popolazione – dice la signora Maria  – perché lo scopo non era quello di inviare direttamente il denaro ma di acquistare un bene che fosse utile in maniera concreta alla cittadinanza».

In seguito alla raccolta fondi, le delegazioni delle due Pro Loco si incontrarono per discutere insieme su quali fossero le effettive necessità, e la richiesta fu proprio quella di riuscire ad ottenere una sede, un punto informazioni per Amatrice, «anche perchè avendo perso tutto, in paese le informazioni per i passanti o per i militari venivano divulgate dal finestrino di un pulmino».

Appresa questa necessità, si è proceduto subito con l’acquisto dell’immobile ma, da qui, è iniziato un iter burocratico durato quasi tre anni, tra progettazione, sopralluoghi e qualche momento di sconforto. Fino all’epilogo positivo: la struttura era arrivata finalmente ad Amatrice, si poteva dunque procedere ad arredamento e inaugurazione!

La nuova apertura, oltre alle istituzioni, ha visto la partecipazione di tante persone comuni. «La gente semplice mi ha abbracciata e ringraziata con le lacrime agli occhi, così ho capito che la gente aveva compreso appieno il senso della donazione: un’offerta che va oltre il valore economico ma nasconde un significato più profondo: quello di costruire con Amatrice un legame di amicizia anche nel futuro», dice commossa la signora Aristei.

Una cooperazione che nasce quindi da una tragedia comune, ma che di comune ha anche tanta solidarietà, vicinanza e lavoro. Nonostante i momenti di difficoltà per l’effettiva realizzazione del progetto, la sua finalizzazione dimostra che, seppur con la lentezza dovuta alle pratiche burocratiche, è possibile credere in una rinascita di questi luoghi.

Ora la promessa è che la collaborazione tra le due Pro Loco non si esaurisca ma anzi si rinnovi anche oltre lo stato di emergenza, e riesca a celebrare le cose belle che – nonostante tutto – la vita è sempre capace di regalarci.

Foto assisioggi.it

Riaperta la Santissima Trinità di Leonessa, gioiello di arte e storia

La riapertura al culto della piccola chiesa intitolata alla SS. Trinità, in Villa Berti – frazione dell’altopiano Leonessano – segna l’inizio di un nuovo tempo, «sorta di rinascenza civile, culturale e religiosa nelle aree prossime al cratere sismico». Con queste parole il vescovo di Rieti monsignor Domenico Pompili, invitato a consacrare ed officiare il rinnovato spazio di culto, ha voluto commentare l’evento dinanzi ad un nutrito gruppo di partecipanti, tra i quali il neo eletto sindaco di Leonessa Gianluca Gizzi.

Promotori e sponsor dell’iniziativa i componenti della comunità locale, con il parroco padre Orazio Renzetti e il coordinatore Gianni Camponeschi, uniti nel sostenere la conservazione della memoria storica del luogo, purtroppo intaccata dai recenti episodi sismici.

“Casa Berti”, come tramandato, vanta una antica tradizione legata all’accoglienza; strategicamente posizionata presso l’accesso N dell’altopiano, reca ancora strutture e vestigia del tipico borgo rurale e contadino di epoca tardomedievale, con planimetria quadrangolare accentrata sulla “curtis” centrale. La chiesa della SS. Trinità ne occupa l’angolo NO (con ingresso a S) come addizione al più vetusto ed esteso corpo di fabbrica settentrionale; edificata presumibilmente durante il I decennio del sec. XVII (la data “1606” graffita su uno dei conci dell’archetto di ingresso ne darebbe conferma) si colloca tra i più antichi edifici di culto dell’intero altipiano. Concepita ad aula mononave, reca una abside retrostante all’altare (oggi occupata dalla sacrestia) e conserva nel suo interno alcuni dipinti su tela di buon interesse storico artistico, tra cui una pala di scuola umbra, cronologicamente collocabile alla metà del sec. XVII.

Un’altra piccola tela – raffigurante anch’essa il tema della SS. Trinità, e anch’essa di ottima scuola – mostra elementi iconografici e storico-artistici addirittura più antichi, legati alla cultura pittorica tardo cinquecentesca di area romana; una ulteriore tela – sempre di epoca tardo seicentesca – mostra un “Sant’Antonio Abate”, presumibilmente di scuola locale.

La pala d’altare (un olio su tela di buone dimensioni) raffigura il tema della SS. Trinità, trattato in uno schema iconografico consueto per la Controriforma, dove la figura del suo principale – e storico – teorizzatore, S. Agostino Vescovo di Ippona, viene raffigurata ai piedi del “mistero”, con una copia del suo “De Trinitate” ed in atteggiamento devoto e dimesso, “spogliato” dagli attributi episcopali, qui retti da due cherubini in sua vece. La I metà del sec. XVII è un momento drammatico per il cattolicesimo occidentale, diviso dalla riforma protestante e dilaniato dalle incredibili accelerazioni intellettuali e scientifiche del tempo, pensiamo a Cartesio, Giordano Bruno, Galileo, Spinoza, Keplero, e l’appena concluso Concilio Tridentino (1581) teso invece a riportare la chiesa alla purezza e trasparenza del periodo paleocristiano.

Compito principale dell’iconografia sacra è il racconto e la catechesi permanente, comunicazione chiara e coincisa di ogni elemento storico, dottrinale, anche dogmatico, rivolta ad una assemblea di fedeli educati all’interpretazione; comprendiamo dunque – nel caso della pala d’altare di Villa Berti – sia la “loquela digitorum” fra il Padre e il Figlio – entrambi avvolti nel cono di luce dello Spirito Santo – sia l’espressione quasi prostrata di sant’Agostino, rassegnato alla critiche più feroci ma sempre di fondamentale presenza, pur nel suo aspetto umile e mortificato. Degne di nota le mani felicissime dei pittori (almeno due, un maestro artefice dei volti e dei particolari, ed un allievo, campitore di sfondi e panneggi); non sarebbe da escludersi un rapporto diretto con le maestranze al seguito dei Padri Cappuccini, stanziati a Leonessa fin dal principio del sec. XVI.

Sottoposti a complesse operazioni di restauro eseguite dalla D.ssa Josefina Marlene Sergio e da chi scrive (ArsLabor Restauro – Roma), sotto la diligente sorveglianza del funzionario di zona della Soprintendenza dottor Giuseppe Cassio, i tre dipinti hanno ritrovato la giusta condizione espositiva ed il dovuto rilievo anche grazie al lavoro del signor Tonino Berti, che si è occupato della ristrutturazione interna della chiesa.

I cresimandi di Lecco dedicano la loro festa alla “Casa del Futuro”

In occasione del sacramento della Cresima dei ragazzi dell’oratorio, da Lecco è stato proposto un gemellaggio solidale: le offerte raccolte dalle famiglie dei festeggiati andranno al progetto di ricostruzione “Casa del Futuro” di Amatrice. Per suggellare la bella iniziativa, ad amministrare le Cresime a Lecco, domenica 19 maggio, è stato il vescovo Domenico. L’idea, nata per aiutare a superare le difficoltà che la popolazione sta vivendo in attesa di una vera e propria ricostruzione, è giunta dalla Comunità pastorale Madonna del Rosario, che ha colto l’occasione per dare vita a un progetto formativo e concreto.

Tra festa e progetto

La giornata di domenica ha unito festa a solidarietà, e contribuirà alla rigenerazione del territorio colpito dal terremoto del 2016. La «Casa del Futuro» sorgerà nell’area del grande istituto Don Minozzi su progetto dell’architetto Stefano Boeri e con il coinvolgimento delle istituzioni della zona. Il centro sarà ricostruito e destinato a nuove esigenze, puntando su tre obiettivi: l’educazione dei ragazzi, la cura dell’ambiente e lo sviluppo del lavoro. Nell’ambito del gemellaggio con la Diocesi di Rieti, si sono cercate anche persone disponibili a svolgere attività di animazione nei Comuni colpiti dai terremoti del 2016.
«La vostra solidarietà è per noi una benedizione. Siete tutti invitati, vi aspettiamo», ha esortato mons Pompili. Tanto il vescovo di Rieti che la Caritas ambrosiana non dimenticano che i comuni colpiti dal terremoto sono sulla soglia della terza estate dopo il sisma. Nel periodo estivo quei borghi si ripopolavano grazie all’arrivo dei villeggianti, ma gli eventi del 2016 hanno rimescolato le carte.

Energia e vita

«Il “popolo delle seconde case” è sempre stato una grande risorsa per le nostre terre», spiega don Domenico. «Portava energia, vita e dava anche un po’ di linfa all’economia locale. Purtroppo non è ancora rientrato e anche quest’anno non ritornerà. A causa dell’attendismo del Governo, non ci sono ancora le condizioni. La ricostruzione pubblica stenta a decollare e quella privata langue. Si è fatto poco sulle infrastrutture, qualcosa, e con gravi colpevoli ritardi, nell’edilizia scolastica. Ma i villeggianti non sono ancora riusciti a rimettere mano alle loro abitazioni. Per dare un segnale, grazie al sostegno della Caritas, siamo in grado di mettere a disposizione una decina di posti letto in una nostra struttura a Torrita, per chi vuole fermarsi qui qualche giorno. Ma si tratta di un’iniziativa simbolica. Siamo ben lontani dal ripristinare la situazione precedente al terremoto». E proprio a Torrita saranno ospiti anche i volontari delle Caritas lombarde gemellate con la Diocesi di Rieti dall’inizio dell’emergenza.

Serve concretezza

«I volontari dei campi estivi – prosegue il vescovo – sono una benedizione. Occupandosi dei bambini, incontreranno anche le loro famiglie. È fondamentale. Proprio ora che sentiamo il peso delle tante decisioni rinviate e delle risposte che non arrivano dalle istituzioni, abbiamo bisogno di percepire con gesti concreti che non siamo stati lasciati soli dai cittadini».
La presenza dei volontari, forse, è addirittura più importante adesso che durante l’emergenza, quando i riflettori erano puntati sui luoghi del disastro e tutti, giustamente, volevano darsi da fare per esprimere la loro solidarietà.

Caritas gemelle

Molti rapporti per fortuna si sono consolidati, portando forze vive e vicinanza nei luoghi in cui si fatica a ritrovare la normalità. «Abbiamo stabilito un’amicizia che sta dando frutto», ha riconosciuto mons Pompili. «È ormai in fase esecutiva il progetto per la “Casa del Futuro”, firmato proprio da uno dei vostri architetti più famosi, Stefano Boeri, e che Caritas Ambrosiana ci sta aiutando a finanziare. Diventerà un centro polifunzionale: ostello per i giovani, casa di riposo per anziani e di cura per persone fragili. Sarà anche una fattoria e, grazie alla collaborazione di Carlo Petrini, presidio di Slow Food. Stiamo ricevendo molto, ma siamo anche pronti a dare. Da questo territorio, dove la sciagura del terremoto ha messo drammaticamente in luce il rapporto delicato tra uomo e natura, è partito il movimento delle Comunità Laudato si’: gruppi di persone, associazioni, che promuovono iniziative ispirate all’enciclica di papa Francesco sulla tutela del creato. L’estate scorsa ospitammo il primo forum ad Amatrice, ora stiamo organizzando il secondo per il prossimo 6 luglio. Siete tutti invitati».