Sette anni dopo, ricordando le vittime del sisma

Primo anniversario del sisma di Accumoli e Amatrice, per il vescovo Vito. Terre e comunità già visitate più volte da monsignor Piccinonna, ma che oggi, quando il calendario segna la data 24 agosto, si uniscono insieme nella commemorazione delle loro vittime, con il pensiero che va, inevitabilmente, a quello che accade quella terribile notte del 2016.

La silenziosa veglia notturna è stata svolta in grande raccoglimento, con una fiaccolata verso il monumento alle vittime del sisma sito nel Parco Minozzi, dedicata alla preghiera e al ricordo di tutte le persone decedute, al rintocco delle campane.

Il mattino successivo, ritrovo dei cittadini presso la cavea dell’Auditorium della Laga, dove è stata celebrata la Santa Messa presieduta dal vescovo. L’altare, a protezione del forte sole di montagna, è stato posto sotto il gazebo della Croce Rossa Italiana: simboli ed immagini che riportano agli aiuti, ai sostegni, alle corse frenetiche ai soccorsi di sette anni fa. In prima fila le autorità, le forze dell’ordine che svolsero un ruolo tanto prezioso, il Commissario alla Ricostruzione Guido Castelli, fermato da molti per chiedere lumi e tempi sul futuro di questi territori.

«Questa celebrazione eucaristica vuole essere per tutti noi motivo di affidamento al buon Dio anzitutto dei nostri cari, i cui nomi sono scritti non solo nel nostro cuore ma, per l’eternità, nel cuore stesso di Dio; ma è anche motivo di affidamento di noi stessi e delle nostre vite, dei nostri scoraggiamenti ma soprattutto delle nostre speranze. La Parola che abbiamo ascoltato viene da Dio, è suo dono, è Lampada che brilla in luogo oscuro finchè venga la luce, perciò è parola degna di fiducia, come nessun’altra», ha detto nell’omelia don Vito.

«Solo Dio ha parole competenti e affidabili per i nostri cuori perché, nonostante dubbi e fatiche, camminiamo nel bene, prendendoci per mano, sostenendoci a vicenda, mai disperando. Come Pastore di questa terra martoriata e ferita sento di esortarci reciprocamente anzitutto ad essere e a fare comunità e a tendere molto a questo. Abbiamo bisogno di essere salvati dalla solitudine e dalla dispersione, dalla tristezza e dallo sconforto che ci portiamo tutti dentro. È solo Gesù, la Speranza fatta carne, a salvarci, a farci ripartire continuamente, talvolta anche rivedendo i nostri modi, le nostre prospettive, le nostre “certezze”».

Il richiamo va a Bartolomeo apostolo, di cui si fa memoria proprio il 24 agosto.

«È uno dei Dodici, chiamato ad una particolare intimità col Maestro. L’altro apostolo, Filippo, gli comunica una bella notizia: finalmente abbiamo trovato l’Atteso, Colui di cui parla tutta la Sacra Scrittura, il Messia, Gesù di Nazareth. Bartolomeo non sembra affatto un credulone, non si lascia sedurre facilmente, anzi tiene alte le sue difese; tra l’altro sentire di uno che viene dalla sconosciuta Nazareth non sembra proprio aprire buone possibilità…eppure la scelta di Bartolomeo di non rimanere arroccato sulle proprie posizioni, aiutato dal Vieni e vedi di Filippo, fa ripartire la vita secondo vie inedite e non precisate, in una amicizia col Signore che sarà portatrice di una promessa che può far aprire il cielo, quel cielo che dal 24 agosto di sette anni fa anche a noi sembra chiuso».

La gente si commuove, sotto il sole cocente: ci sono i gonfaloni dei Comuni, il coro, i sacerdoti del territorio, le religiose e i religiosi che tanto si adoperarono per supportare, asciugare lacrime, abbracciare durante i dolorissimi riconoscimenti delle salme. Tra la polvere, le urla, i feriti. Momenti che tornano in mente, guardando il paesaggio tutt’intorno, che porta ancora pesantemente i segni di quello che accadde.

Il vescovo Vito riporta alla speranza, alla fiducia nel futuro e nell’affidamento al Signore: «Siamo qui a coltivare la fiducia nel Dio di Gesù Cristo che non ha smesso di esserci Padre e mai lo farà! Questa pagina del Vangelo ci ricorda oggi che qualcosa di nuovo accade solo quando riusciamo a fare comunità. È questa la premessa e la forza liberante per tutto. Bartolomeo senza Filippo sarebbe rimasto al riparo, in difensiva ma comunque solo e senza la possibilità di conoscere Gesù, l’Uomo‐Dio che da Nazareth, da dove nessuno avrebbe scommesso un centesimo, veniva a portare luce a tutti coloro che erano nelle tenebre e nell’ombra di morte. Di questa Luce ne sentiamo oggi più che mai profonda nostalgia e desiderio. E si offre a ciascuno, gratuitamente ma almeno con l’impegno di desiderarla. Benedetta la nostra vita, cari fratelli e sorelle, quando ci accorgiamo degli altri e, anche in memoria dei nostri cari, con tenerezza, ci disponiamo ad accogliere, a non lasciare ai margini, a fare comunità perché solo un più grande e forte senso di comunità ci potrà aiutare ad accorgerci che, nonostante tutto, il cielo su di noi non è rimasto chiuso: sì, una comunità più forte del terremoto! E il Buon Dio doni a ciascuno, secondo le proprie responsabilità, di fare bene il bene, senza risparmiarci».

La veglia di preghiera a Illica: «Serve il lavoro perché si risorga»

«Prima il boato, la terra che trema, il buio, il silenzio, poi le urla. Il tempo passa ma quei momenti e quelle sensazioni sono impresse dentro di noi e non se ne andranno mai.
Sono passati sette anni ma noi siamo ancora qui perché le radici che ci tengono legate a quei luoghi sono più forti di qualsiasi terremoto….perché è a Illica che mi sento a casa.
Il mio pensiero va a tutte le persone che sono lassù e che ci hanno lasciato in quella maledetta notte».
Alessandro affida ai social il pensiero e il ricordo della notte del 24 agosto 2016, quando il terremoto con epicentro nella Valle del Tronto rase completamente al suolo la frazione Illica di Accumoli, e tanti territori vicini, con un impressionante totale di vite perse.

E come ogni anno, nell’anniversario della tragedia, la comunità di Illica si è ritrovata in un grande slargo, tra ruspe, cantieri e ricordi affidati alla notte.

La veglia notturna presieduta dal vescovo monsignor Vito Piccinonna ha ricordato le undici vittime del paese di Accumoli, in silenzio e quasi in punta di piedi, come non si volesse disturbare il ricordo e il raccoglimento. Un momento di preghiera incentrato sul tema del lavoro, perché è il lavoro che occorre, perché si risorga.

È per questo motivo che il parroco don Stanislao Puzio ha allestito un altare fatto di mattoni e caschetti, «perché la gente vuole e deve vedere i cantieri per poter continuare a sperare». Sopra, il Crocifisso, imponente e rassicurante, a donare protezione e speranza.

Certo, all’inestimabile valore delle vittime non può essere paragonato nessun altro valore, ma il terremoto non è solo perdita di vite umane. È anche perdita di valori, di riferimenti, del patrimonio in termini di case, chiese, opere d’arte, preziosi ed unici ricordi della gente. Il terremoto è anche una miniera di sofferenza che non si lascia placare con il passare degli anni. «L’incubo di quella notte e lo smarrimento di quei giorni, infatti, albergano nei cuori delle persone di questo territorio fino ad oggi, e non è facile smaltirli. Non è facile ricostruire la parte psicologica, spirituale e sociale della popolazione», aggiunge il parroco.

«Ci vuole un grande lavoro. Un lavoro sinergico, paziente e purtroppo anche lungo di molte persone e istituzioni affinché la gente che abitava questa terra, già affrontando le proprie fatiche prima del terremoto, ora possa continuare a sperare, ad agire, a sognare, a progettare, a lavorare. Ci vuole un grande lavoro affinché si risorga. Vogliamo essere grati alle persone di buona volontà, alla gente del posto e a quella venuta da tante parti dell’Italia e perfino del mondo a darci una mano. Questa terra pur nella fatica di risorgere comunque ha già visto parecchio sudore sulla fronte degli operai, dei progettisti e di tanti altri che lavorano affinché si possa continuare a vivere qui».

Il lavoro perché si risorga è dunque un auspicio, ma anche una condizione per rinascita e fiducia dopo tanta sofferenza.

Le vittime di Accumoli furono:

GIOVANNI CANESTRARO, ANA HUETE AGUILAR, GIAMPAOLO PACE, SOFIA ROMUALDI, ANDREA TUCCIO, RICCARDO TUCCIO, STEFANO TUCCIO, GRAZIELLA TORRONI, VINICIO VALENTINI, DINA BORDO, ASSUNTA VALERI.

La “Lampada delle Vocazioni” arriva nella zona pastorale Valle del Velino, Monti della Laga e Altopiano Leonessano

Prosegue nella diocesi di Rieti la peregrinatio della “Lampada delle Vocazioni“, voluta dal vescovo Vito fin dal giorno della sua ordinazione: «Siamo chiamati a dare fecondità al nostro vivere anche pregando maggiormente perché ci siano vocazioni al sacerdozio».

Dallo scorso 21 gennaio, a partire dalla Cattedrale, passando poi nella basilica di Sant’Agostino e nella parrocchia di San Michele Arcangelo, la lampada ha toccato via via alcune zone pastorali della diocesi, fermandosi adesso in quella della Valle del Velino, Monti della Laga e Altopiano Leonessano.

«Chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui» (Mc 3,13)

Il calendario

Santa Rufina (dal primo all’8 settembre)

Santa Maria del Popolo in Cittaducale (dall’8 al 15 settembre)

Santa Maria della Porta in Castel Sant’Angelo (dal 15 al 22 settembre)

San Biagio in Canetra (dal 22 al 29 settembre )

San Matteo Apostolo in Borgo Velino (dal 29  settembre al 6 ottobre)

Santa Maria Assunta in Antrodoco (dal 6 al 13 ottobre)

Santa Maria Assunta in Posta (dal 13 al 20 ottobre)

Santa Maria della Neve in Bacugno (dal 20 al 27 ottobre)

Santa Maria Assunta in Cittareale (dal 27 ottobre al 3 novembre)

Santa Croce in Borbona (dal 3 al 10 novembre)

Sant’Agostino in Amatrice (dal 10 al 17 novembre)

Santa Maria del Popolo in Preta (dal 17 al 24 novembre)

San Lorenzo Martire in Flaviano (dal 24 novembre al primo dicembre)

San Giovanni Bosco in Torrita (dal primo all’8 dicembre)

San Martino in Moletano (dall’8 al 15 dicembre)

San Sebastiano in Scai (dal 15 al 22 dicembre)

Santi Pietro Apostolo e Lorenzo Martire in Accumoli (dal 22 al 29 dicembre)

San Giuseppe da Leonessa in Leonessa (dal 9 dicembre al 5 gennaio 2024)

Santi Apostoli Pietro e Paolo in Terzone (dal 5 al 12 gennaio 2024)

 

Che non manchi mai la speranza

Un paradosso ha attraversato le meditazioni preparate da don Stanislao Puzio per la Via Crucis presieduta nell’area Sae di Accumoli dal vescovo Vito: che il Venerdì Santo, giorno del dolore e della croce, è nel profondo un giorno di gioia. Perché non appartiene alla morte l’ultima parola, ma alla resurrezione di Gesù. E per questo non deve mancare la speranza, anche davanti alle conseguenze del terremoto: quello più lontano de L’Aquila, che ha fatto assaporare con anticipo la paura, e quello che proprio ad Accumoli ha avuto il suo epicentro nel 2016, aprendo una ferita che non si riesce a rimarginare.

Partita dal confine basso dell’abitato per risalire verso la piazzetta del monumento ai caduti, la Via Crucis è stata vissuta nell’aria tersa del pomeriggio assolato, mentre un vento freddo soffiava leggero. Dietro la croce ricavata da due legni raccolti in montagna e portata dai bambini i fedeli hanno camminato compatti, raccolti. Nell’ultimo tratto di strada la pendenza si accentua e dalla maggiore fatica il vescovo Vito ha ricavato l’immagine dello stato d’animo di chi, da ormai molti anni, resiste nelle soluzioni abitative d’emergenza, mentre l’orizzonte della normalità pare spostarsi ogni giorno in avanti, senza poter mai essere raggiunto.

Con un invito a non mollare che ha avuto il sapore di un abbraccio profondo e partecipato: «Siamo davanti al crocifisso perché sappiamo che solo lui può alimentare la speranza di cui abbiamo bisogno», ha detto, spiegando che non si tratta di «una speranza a buon mercato», perché proviene da chi è morto e risorto. «La Pasqua, a dispetto della morte, è una festa di vita: non scompaiono le lacrime, ma ricevono una luce nuova da Dio», ha aggiunto mons Piccinonna.

Certo, è una fede esigente, ed è umano che a volte non riesca a consolare, non basti a dare forza. Per questo il vescovo ha suggerito di posare lo sguardo sui bambini: «I loro volti bellissimi, dono di Dio, mi fanno pensare che non basta che Dio ci dia speranza, questa speranza che Dio ci dona dobbiamo sapercela scambiare, trasmettere, sostenere tra di noi. E se ci sono dei momenti in cui la disperazione vuole prende il sopravvento, non so a voi, ma a me gli occhi e i volti di questi piccoli impediscono di farlo. Attraverso di loro Dio tramette speranza al nostro cammino».

La preghiera per quanti non ci sono più davanti al monumento ai caduti nel terremoto ha aperto l’ingresso nella chiesetta dove la comunità ha vissuto la liturgia del Venerdì Santo, con l’adorazione della croce. Tutto attorno, nell’aria limpida, le montagne ancora innevate sembravano ricordare la presenza di ciò che non passa, ma tutto sostiene in attesa di una nuova primavera.

È il momento di vedere oltre e scorgere il domani

Nel sesto anniversario del tragico sisma del 24 agosto 2016, la comunità di Amatrice si è ritrovata nel campo sportivo per la Santa Messa presieduta dal vescovo Domenico, anche quest’anno trasmessa in diretta su RaiUno. Per monsignor Pompili, ultima celebrazione in ricordo delle vittime del sisma come pastore della Chiesa di Rieti, visto il suo prossimo trasferimento a Verona.

«Amatrice è chiamata città degli italiani», ha detto il vescovo all’inizio della celebrazione. «Ed a ragione. Perché se non fosse stato per l’istantanea solidarietà di tante donne ed uomini, già all’alba tragica di sei anni fa, molti oggi non sarebbero qui». Una «solidarietà concreta e immediata ha contagiato bel al di là dei confini nazionali». Di qui, la necessità di «dire grazie all’Italia perché attraverso il suo Stato ha disposto generosamente risorse perché la vita possa rinascere».

Un grazie detto «pensando a quelli che sei anni fa scomparvero in un baleno. E per vivere l’Eucaristia che è il rendimento di grazie più incredibile. Si tratta infatti di rendere grazie a Dio per la morte e resurrezione del suo Figlio perché la speranza con la S maiuscola prenda piede nella nostra vita: è questa fede che ci spinge a ritenere che quei legami che costituiscono la terra ferma della nostra comunità non si dissolvono, ma ritrovano vita in Dio».

Sotto il sole montano di fine agosto, tra i familiari delle vittime seduti nelle prime file, qualche lacrima di dolore per quanto accaduto sei anni fa, ma anche tanto desiderio di speranza e rinascita, ora che nel paese iniziano a vedersi i segnali rumorosi e tangibili della ricostruzione. Presenti istituzioni, autorità locali e nazionali, ma anche i soccorritori che aiutarono, scavarono, trassero in salvo. «È anche grazie a loro che siamo qui», ha commentato sugli spalti il direttore della Caritas di Rieti, don Fabrizio Borrello.

«Filippo gli rispose: Vieni e vedi. Filippo non si scompone affatto dinanzi a Natanaele, che è poi il nome di Bartolomeo. Questi è un tipo tagliente, e per niente accomodante, che replica con sarcasmo a Filippo, entusiasta per l’incontro con Gesù, che però ai suoi occhi è solo uno sconosciuto. Di qui l’invito perentorio che si sente rivolgere: Vieni e vedi. Delle persone, come delle cose, non bisogna parlare per sentito dire o per pregiudizio, ma andando di persona a vedere», ha detto nell’omelia monsignor Pompili, invitando a non fidarsi delle chiacchiere o ancor peggio dei lamenti da social, ma preoccupandosi di verificare la verità delle cose.

«E che cosa si vede venendo qui ad Amatrice dopo 6 anni? A prima vista, tutto sembra fermo all’istantanea della torre che si erge isolata in mezzo al deserto. Ma se si guarda con più attenzione, si scopre che sotto c’è un cantiere, finalmente in movimento. Appena più su nell’area del Don Minozzi comincia a prendere forma la “Casa del futuro”. Appena più giù si delinea il nuovo ospedale di Amatrice. E poi ci sono gru sparse qua e là. Per vedere, dunque, bisogna venire. Dopo l’estenuante fase iniziale, ora è il tempo della ricostruzione, ma per arrivare a quella della ri-generazione vera e propria, occorre “venire”. Tutti devono venire: pubblico e privato, stato e società civile, operatori economici ed ordini professionali. Senza il coinvolgimento di tutti, infatti, l’attesa potrebbe allungarsi ancora».

«Cosa vede chi verrà? Non solo quello che si vede ad occhi nudi, ma anche quello che va immaginato. Quel che vedremo, infatti, non può essere la semplice rievocazione di quel che fu Amatrice». Un paese sorto in una zona altamente sismica, che non è certo nuova a movimenti tellurici.

«Non è certo la prima volta che Amatrice rinasce – ha ricordato il vescovo – nel corso della sua storia secolare diverse sono state le stagioni, ogni volta imprevedibili. Non solo per via dei terremoti dal Medioevo all’età moderna. Come all’inizio del Novecento, quando i grandi armentari e i pastori di Amatrice, dettero nuovo vigore alla pastorizia che sembrava già allora destinata ad un rapido declino, rivitalizzando tutte le attività ad essa collegate, che prosperarono per almeno un altro secolo ancora. I nostri bisnonni ebbero immaginazione e non si arrestarono a quel che cadeva sotto i loro occhi. Videro oltre. Tale sguardo non schiacciato sul presente, ma aperto al futuro, non è senza conseguenze. Richiese allora spirito di iniziativa, coraggio e sacrificio. Tali sono oggi le risorse indispensabili per affrontare un futuro tutto da vedere. Perché ci si muova con creatività e non con ripetitività; con audacia e non con paura; con disinteresse e non con la sola ricerca dell’utile proprio».

Una necessità assoluta, quella di guardare al futuro e al presente, senza rattrappirsi su uno sguardo contristato e nostalgico sul passato, una «lezione che riguarda l’intero Paese», e non solo i paesi colpiti dal terremoto del 2016. Un’Italia che «deve imparare a ri-nascere, a ri-partire, a ri-cominciare». Perché «così è la vita che non si dà mai una volta per tutte, ma chiede ad ogni generazione di riappropriarsi della stessa».

Monsignor Pompili inquadra così il «domani del terremoto».

«Non più il 24 agosto, quando comunque continueremo a serbare grata e struggente memoria delle vittime, ma ora». Perché «è adesso il momento di vedere oltre e di scorgere il domani».

Ogni 24 del mese una Messa per ricordare

Giovedì 24 marzo alle ore 18, presso la chiesa di Santa Barbara in Agro nel quartiere Chiesa Nuova di Rieti, sarà celebrata una Santa Messa in suffragio delle vittime del sisma che ha colpito il Centro Italia il 24 agosto 2016.

La celebrazione diverrà un appuntamento fisso di ogni 24 del mese.

«Sarà un modo per ricordare quanti non ci sono più e insieme chiedere al Signore il sostegno per la vita che continua», spiega il parroco don Fabrizio Borrello.

«Non si può cancellare il dolore che provoca l’assenza dei propri cari, ma la memoria può confortare e illuminare il cammino».

E finalmente…è festa!

Dopo due anni di attesa causata dalla pandemia, è arrivato il giorno della Prima Comunione per alcuni ragazzi amatriciani.

Festa grande nella chiesa del Centro di Sant’Agostino il 12 e il 26 settembre scorsi, quando finalmente i giovani e le loro famiglie hanno finalmente celebrato il loro personale incontro con Gesù.

Emozionato anche il parroco don Adolfo Izaguirre: «Sono stato contento di accompagnare questi ragazzi insieme con le loro catechist, perché hanno veramente bisogno di conoscere a Dio. Ogni giorno, soprattutto in queste zone,  ci impegniamo a dare il meglio di noi con l’aiuto di Dio, e a far comprendere questo anche loro, che sono il futuro della nostra comunità».

Don Adolfo ringrazia anche i genitori dei bambini, «che fanno ogni anno il sacrificio di accompagnare i figli per questa preparazione al loro incontro con Gesù».

«Tensione che rende la vita dinamica, feconda e creativa»

È stata una riflessione sulla capacità di generare, sul rapporto tra donna e uomo, sulle dimensioni della relazione e della reciprocità, quella condotta dal vescovo Domenico ad Amatrice rivolgendosi a quanti si sono ritrovati nella chiesa provvisoria di Sant’Agostino per partecipare alla Santa Messa nel giorno della solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria. Un’occasione che ha visto le suore della congregazione religiosa “Ancelle del Signore”, fondata proprio ad Amatrice da padre Giovanni Minozzi nel 1940, rinnovare i propri voti.

«Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie», ha detto don Domenico riprendendo la visione riportata nel brano dell’Apocalisse. Una lettura che secondo il vescovo «evoca in modo simbolico il destino dell’umanità, alludendo ad una donna che sta per diventare madre».

Il pensiero torna alla lectio tenuta qualche giorno fa, sempre ad Amatrice, sul rapporto tra l’essere donna e l’essere madre proprio a partire dalla figura della Madonna. «Solo con la donna l’uomo può generare, altrimenti può solo fabbricare», ha sottolineato il vescovo citando Chiara Giaccardi e aggiungendo che «questa verità si chiama reciprocità e Maria ci aiuta a riscoprirla per distinguerla accuratamente dalla semplice complementarietà. Il femminile, infatti, non è una copia, un’estensione del maschile, ma è consustanziale all’umanità, in quanto immagine di Dio: l’uomo e la donna nel loro intreccio sono l’immagine di Dio».

Reciprocità, dunque, e non semplice complementarietà, perché quest’ultima «evoca, per contro, una semplice divisione dei compiti senza eliminare la divisione e, peggio, continuando a perpetuare le disuguaglianze». È seguendo la logica della reciprocità che si comprendono le figure di Adamo ed Eva, che «non sono due individui che poi si mettono in relazione, ma sono carne della stessa carne e danno vita ad una nuova esperienza».

«Il brano evangelico della Visitazione – ha aggiunto don Domenico – rende plasticamente questa energia vitale che si sprigiona da Maria che va presso la cugina Elisabetta. È il segno di una audacia, libera dal calcolo costi/benefici, tipico del maschile che si ritrova soltanto nell’espansione del sé ed introduce l’accoglienza dell’altro. Così si crea il miracolo della vita che si incontra e si moltiplica».

Se la complementarietà è all’insegna della divisione, la reciprocità è all’insegna dell’indissolubilità di ciò che è unito. I diversi non si contrappongono, né si fondono, ma restano in tensione, mai l’uno senza l’altro. Ed è proprio questa tensione che rende la vita dinamica, feconda e creativa.

Le conseguenze di questo approccio sono rilevanti: «La prima è che il femminile è alter e non aliud. Alter significa che è differente. Altro che è alieno. Dietro l’alieno si nasconde la perversione della complementarietà dominatrice e il rifiuto della differenza in nome di una neutralità che è l’effetto di una mancata custodia del nesso irrinunciabile tra maschile e femminile. La seconda conseguenza è vivere la reciprocità è la strada per imparare l’ospitalità e l’alterità che sono così necessarie per respingere ogni forma di intolleranza e di violenza».

Non un cratere, ma una speranza. Amatrice festeggia la Filetta

Evviva Maria, Maria Evviva, Evviva Maria e chi la creò: Amatrice festeggia la Madonna della Filetta. Nella mattina di domenica 24 maggio la comunità si è ritrovata presso il campo sportivo per celebrare in sicurezza la patrona della città.

«Quest’anno non abbiamo potuto festeggiare come si è fatto per 500 anni», ha spiegato il sindaco Antonio Fontanella, sottolineando come questa festa fosse per gli abitanti «la giornata dell’identità, in cui tutti la comunità amatriciana si ritrovava spinta da un senso di fratellanza e da un spirito di grande unione».

Rimandando al prossimo anno la processione, gli amatriciani hanno onorato ugualmente la tradizione, presentandosi in gran numero alla liturgia della domenica presieduta dal vescovo. Una messa inconsueta, celebrata all’aperto con una distanza minima di un metro tra un posto e l’atro e con l’obbligo di indossare la mascherina.

I dispositivi di sicurezza non hanno però coperto l’emozione negli occhi dei fedeli che, commossi, hanno seguito con partecipazione tutta la celebrazione.

«Salire sul monte è faticoso, ma quando si ha la gioia di arrivare in vetta si sente una sorta di liberazione da tutto ciò che ci appesantisce. Basta sollevare lo sguardo e incrociate i monti della Laga per provare un’esperienza che allarga il cuore»: con queste parole il vescovo Domenico ha si è rivolto ai presenti, invitando a distogliere lo sguardo da un’Amatrice concepita come mero cratere.

Riferendosi poi alla parola del Signore nel giorno della sua ascensione al cielo, don Domenico si è soffermato sulla parola “insegnare” intesa come “segnare” capace, cioè, di dare dei segni che possano orientare. «Dio solo sa quanto in una realtà come la nostra che ha perso i suoi riferimenti abituali, sia importante per noi avere la forza di creare dei segni che aiutino ad orientare la nostra vita e ad alimentare la nostra speranza».

In questo senso, ha fatto riferimento a due gradi prossimi segni che decreteranno un contributo importante nell’ottica della ricostruzione. Il primo sarà quello dell’ospedale, la cui posa della prima pietra è prevista per la fine dell’estate, il secondo sarà il progetto della Casa del Futuro, che convertirà, invece, l’area del don Minozzi.

«Per non restare travolti ricostruzione – ha concluso – non basta affidarsi alla buona volontà ma occorre consegnarsi alle parole del maestro “io sono con voi” che non sono una garanzia ma una promessa che evoca speranza. Solo con la capacità di essere noi per primi a decentrarci, a fare un passo indietro perché venga avanti l’insieme, si può pensare di ricostruire nella giusta direzione».

Al termine della liturgia i presenti hanno intonato la Lode alla Madonna della Filetta che, tradizionalmente, accompagnava la processione. Sotto le mascherine, si è distinta la voce degli uomini per le strofe e quella delle donne nel ritornello, unendo tutti in un metaforico e caloroso abbraccio.

Infine il vescovo e il sindaco si sono recati al monumento del parco comunale per un momento di preghiera in nome di tutte le persone che sono tornate alla casa del padre.

Amatrice, è il giorno della Filetta: ecco come seguire le celebrazioni

Saranno trasmesse in diretta a cura di CDM Servizi Amatrice, le due messe previste oggi 24 maggio 2020, per i festeggiamenti della Madonna di Filetta.

Appuntamento alle ore 11 con la Santa Messa che si svolgerà al campo sportivo di Amatrice presieduta dal vescovo Domenico, mentre alle ore 17  sarà la volta della Messa in frazione Villa San Lorenzo a Flaviano.

Entrambi gli eventi (con posti limitati per restrizioni legate al Coronavirus) saranno trasmessi in diretta streaming video sulla pagina Facebook “Amatricenews” e in diretta radio FM sulle frequenze di Mep Radio Organizzazione e in streaming su www.mepradio.it per favorire la più ampia partecipazione dei fedeli.

La trasmissione è realizzata d’intesa con l’Ufficio Comunicazioni Sociali della Chiesa di Rieti, con il Comune di Amatrice e la Parrocchia di S.Agostino.

In Provincia di Rieti, MEP Radio Organizzazione è ricevibile sulle frequenze: 95.300 MHz FM (Montepiano Reatino, Altopiano Leonessano e Val Canera) – 95.200-96.800 MHz FM (Valle del Velino) – 96.000 MHz FM (Valle del Tronto e Alta Valle dell’Aterno) – 105.500 MHz FM (Valle Falacrina e Valle del Ratto) – 88.700 MHz FM (Valle del Salto e Cicolano) – 106.300 MHz FM (Piana di Corvaro e Spedino) – 106.450 MHz FM (Valle del Turano e Piana del Cavaliere).