Alla scoperta della chiesa di Santa Croce in Borbona

Le fonti narrano che la presenza della chiesa di Santa Croce risale a partire dal XII secolo in un’area piuttosto isolata del territorio borbontino. Dopo il decadimento medievale, il titolo venne trasferito ad una nuova chiesa, questa volta costruita dentro le mura. Nel 1600 la struttura è già riccamente allestita, grazie alle donazioni delle più facoltose famiglie del territorio. Gli eventi sismici del 1703, non risparmiarono l’edificio che venne però ricostruito celermente: nel 1732 fu consacrata dal vescovo Antonino serafino Camarda.

Il nuovo edifico, di raffinato gusto settecentesco, include frammenti lapidei della struttura precedente come il bassorilievo altomedievale raffigurante il Cristo Risorto. La chiesa si presenta semplice e ordinata: il portale lapideo a cui si accede tramite una armoniosa scalinata ha forme classiche e armoniose, la facciata è intonacata e i conci degli spigoli hanno una funzione decorativa.

L’interno è invece concepito come un’ampia aula basilicale al cui estremo si leva l’arco trionfale a sesto ribassato.

Entrando, spicca la presenza dell’altare maggiore e degli altari laterali, realizzati in stucco. Le tele richiamano ancora una volta il gusto settecentesco mentre gli arredi lignei denotano la maestria degli ebanisti locali, che si rispecchia anche nel tavolato ligneo del soffitto.

Il sisma del 2016 non ha risparmiato la chiesa che ha riportato danni ad alcuni elementi costruttivi e decorativi. Le strutture più interessate sono state l’arco trionfale, la facciata e le pareti laterali. L’intervento definitivo di ricostruzione sarà quindi focalizzato sul ripristino dei danni e dei disseti riscontarti al fine di garantire la continuità di culto rispettando però la sicurezza pubblica e la sostenibilità economica e ambientale.

Riapertura Santa Maria Assunta: Borbona ha di nuovo la sua chiesa

«Lasciamoci sfidare dal futuro» citando il filosofo Bauman, il vescovo Domenico ha inaugurato con una celebrazione eucaristica la chiesa di Santa Maria Assunta, conosciuta anche come Santa Maria Nuova, in Borbona. La cerimonia, avvenuta nel pomeriggio di lunedì 28 giugno, ha radunato istituzioni e cittadini, emozionati di poter finalmente tornare nel centralissimo edificio.

La particolarità di questa chiesa, come spiegato dall’architetto Marco Lucandri, coordinatore dell’intervento, sta nella sua pianta circolare. Allo stesso tempo, però, questa caratteristica è stata anche la fragilità dell’edificio, che ha riportato i suoi danni maggiori proprio in corrispondenza della cupola e delle volte laterali. Gli interventi, si sono concentrati dunque sul consolidamento delle volte e sulla ricostruzione sia dei tetti laterali più bassi che del tetto sopra la cupola, rafforzato con una cerchiatura d’acciaio. «Per ripristinare la cupola è stata adottata una tecnica innovativa, quella del coccioforte, un sistema di rinforzo che consente tuttavia la reversibilità».

«Riapriamo ufficialmente questa chiesa dopo il tempo del terremoto ed è questo segno di grande speranza perché significa tornare alla dimensione abituale» ha affermato don Domenico, sottolineando, però, che la ricostruzione non deve essere vista solo come un fatto economico o tecnico ma anche culturale e spirituale perché «non basta che arrivino flussi di denaro se poi non ci sono le persone giuste capaci di orientare il capitale verso il bene comune».

Rivolgendo poi lo sguardo all’esterno, il vescovo ha fatto riferimento ai lavori in corso per il Centro di Comunità, luogo di incontro, e alla RSA, dove vengono custoditi gli anziani. «In questa triangolazione si delinea qualcosa che ha a che fare con la Borbona del futuro che sì, è una piccola comunità, ma è importante che dopo 5 anni si cominci a delineare una prospettiva in cui si recuperino gli spazi per la vita sia ecclesiale che sociale. Perciò – ha concluso – questo giorno di festa deve essere un segno di volontà a ricostruire non guardando le nostre spalle, ma
mirando avanti con fiducia».

Prima della conclusione della messa, don Ernesto Pietrangeli, parroco di Borbona ci ha tenuto a ringraziare personalmente tutte le persone che hanno contributo alla realizzazione del progetto e, con la voce rotta dall’emozione ci ha tenuto a condividere un suo intimo ricordo. «Questa è la chiesa dove seguivo la messa da bambino e dove, da giovane, celebravo. Negli anni ottanta e novanta era piena di fedeli e si respirava fede in ogni angolo. Mi auguro che questo possa continuare anche ora con le nuove generazione perché questi edifici non sono monumenti ma un luoghi di fede».

Si è unita ai ringraziamenti anche Maria Antonietta Di Gaspare, sindaco della città, che, riprendendo l’asse proposto dal vescovo, quello tra la chiesa di Santa Maria Assunta, il venturo Centro di Comunità e la Rsa, ha aggiunto un ulteriore tassello: il centro storico. «riteniamo che, nel proiettarci nel futuro, la memoria possa essere il volano del domani che abbiamo il dovere di trasmettere ai nostri giovani. Queste comunità, seppur piccole, nascondono un trascorso e un passato e in questi luoghi dobbiamo creare un futuro per tutti» ha concluso.

Tanto l’entusiasmo tra i fedeli, consolati così dall’assenza dei festeggiamenti in onore di santa Maria del Monte, in coincidenza con l’ultima domenica di Giugno. «Non è cambiata per niente» ha detto la signora Dina. L’unica differenza infatti sta nell’esposizione della Croce Processionale, ora visibile a tutti grazie alla protezione di una teca posta ai margini dell’altare.

“Praticare solidarietà”, incontro all’Rsa di Borbona: «gli anziani siamo noi tra poco»

Nella mattinata di martedì 11 giugno si è svolta presso la struttura dell’Rsa San Raffaele in Borbona un’assemblea pubblica dal titolo “Praticare solidarietà” che ha visto intervenire, oltre al prof. Natale Santucci, direttore medico della San Raffaele spa, il vescovo della diocesi di Rieti, Domenico Pompili, il sindaco  di Borbona, Maria Antonietta Di Gaspare, Oscar Capobianco, Segretario Nazionale Uilp, Mina Cipolloni, Segretaria Nazionale Spi Cgil e Patrizia Volponi, Segretaria Nazionale Fnp Cisl, sul tema degli anziani, in particolare su un territorio colpito da eventi naturali di particolare entità quali i sismi del 2016 e 2017.

Dopo un primo momento in cui i partecipanti hanno potuto visitare la struttura, in particolare la  palestra corredata dalle nuove apparecchiature elettromedicali, si è proceduto alla benedizione del pulmino attrezzato con pedana per portatori di handicap, donato dalle federazioni dei pensionati Spi – Fnp – Uilp, durante la quale il vescovo Domenico ha citato il brano  in cui l’evangelista Matteo mette a confronto l’ascolto della Parola e il metterla in pratica con la solidità di una casa costruita sulla roccia che, nonostante l’abbattersi di eventi naturali impetuosi, non crolla perché è solida e sicura, al contrario di chi ascolta la Parola e non la mette in pratica che è come uno che costruisce la casa sulla sabbia e alla prima tempesta va giù e non ne rimangono che macerie.

Come pastore di una diocesi che si è trovata a fronteggiare la devastante situazione del terremoto, il Vescovo, nel suo intervento, ha sottolineato l’importanza del ruolo svolto dall’RSA di Borbona fin dalle prime ore del dopo sisma, durante le quali la struttura è stata un faro che ha dato risposta a tanti problemi urgenti, ma anche il suo essere un luogo in cui tessere il fondamentale dialogo tra generazioni. «Grazie all’azione della Caritas – ha detto ancora il vescovo Domenico – abbiamo voluto essere presenti su tutto il territorio e quindi anche all’interno dell’Rsa San Raffaele, perché è il luogo in cui coltivare una stretta relazione tra le comunità, gli anziani e il luogo dove questi vivono».

A seguire l’intervento del sindaco di Borbona che, visibilmente commossa, ha manifestato la sua profonda soddisfazione per quella che ha definito come la più grande scommessa amministrativa del comune da lei guidato. Finanziata già nel 1999, ci sono voluti 15 anni per portare a termine e mettere in funzione la struttura che si è dimostrata sicura e all’avanguardia nel momento del terremoto. «L’importante, ora – ha detto ancora il sindaco – è decidere dove vogliamo andare e quale storia si vuole scrivere su questi territori, è fondamentale far rimanere unite le varie comunità attraverso piccoli passi di apertura verso gli altri territori, per poter avere quel futuro di cui abbiamo diritto».

Quindi i contributi di Mina Cipolloni e Patrizia Volponi che hanno posto l’accento sul ruolo svolto nel post terremoto dalle associazioni sindacali, di sostegno materiale e di servizio dato alla popolazione, aiutando le attività a rimettersi in piedi e stimolando in loro la voglia di lottare perché i propri paesi non siano abbandonati. Un impegno volto a riportare le persone al loro quotidiano per ridare colore ai sogni e alle speranze sbiadite dagli eventi sismici. «La solidarietà deve svilupparsi attraverso la vicinanza alle comunità – dice ancora Mina Cipolloni – e gli anziani ne rappresentano una risorsa fondamentale, sono la storia del nostro paese che può aiutarci a costruire un futuro migliore, anche con le loro fragilità».

È Patrizia Volponi a chiudere gli interventi ponendo l’attenzione sulla necessità di permettere una vita dignitosa agli anziani, garantendo l’accesso ai servizi sanitari anche presso le strutture residenziali. Si è umani se si è solidali, ricordando sempre che «gli anziani siamo noi tra poco».

A chiusura della mattinata il sindaco e i suoi collaboratori, vicesindaco e assessori, hanno voluto omaggiare di un attestato i rappresentanti dei sindacati, il vescovo, la Caritas, ma anche il territorio rappresentato da proloco e centro giovanile di Borbona, sempre molto attivi nella comunità e con un’attenzione particolare rivolta agli ospiti dell’Rsa San Raffaele.

Il sindaco di Borbona Maria Antonietta Di Gaspare rinuncia all’indennità: «Ora i bimbi hanno lo scuolabus»

«Adesso in paese ogni mattina è bellissimo vedere il via vai di scuolabus. Altrimenti per Borbona sarebbe stato l’inizio della fine». A pronunciare queste parole, la voce di Maria Antonietta Di Gaspare si incrina per l’emozione. Lei è la sindaca di Borbona, 700 abitanti in provincia di Rieti, nel cratere di quel terremoto che ha lasciato morte e distruzione, ma pure tanta voglia di continuare, di fare tutto il possibile perché le famiglie decidano di restare e far crescere i figli tra queste montagne. E se la scuola è in un altro paese e i bambini non sanno come andarci, eccoche Maria Antonietta Di Gaspare, carabiniere forestale nella vita di tutti i giorni, una soluzione l’ha trovata: rinunciare all’indennità da sindaco e con quei soldi assumere un autista di scuolabus.

Ma lasciamo che sia lei a raccontare come è andata: «Il terremoto del 2016 ha stravolto ogni cosa, anche dal punto di vista scolastico. E così mi sono ritrovata con una metà dei genitori disposti a mandare ancora i figli ad Antrodoco, perché qui in paese non abbiamo una scuola, ma l’altra metà desiderosi di mandarli a Montereale, sempre a 20 chilometri, dove c’è un edificio costruito con criteri antisismici dopo il terremoto dell’Aquila. Io devo garantire questo diritto a tutti, ma il Comune, come gran parte di quelli piccoli, non ha fondi o trasferimenti dello Stato a sufficienza, per cui non potevamo permetterci di assumere un altro autista e tanto meno acquistare uno scuolabus. A quest’ultimo problema ha provveduto la squadra di calcio locale: hanno un pulmino per le trasferte della domenica che ora negli altri giorni diventa uno scuolabus. L’autista, invece, lo abbiamo assunto con indennità e rimborsi a cui ho rinunciato volentieri. Non mi sento un’eroina, ci mancherebbe, e veramente l’ho fatto già dal settembre scorso, per garantire la regolarità dell’anno scolastico, anche se la storia è venuta fuori ora».

In totale fanno circa 20mila euro l’anno ed era questa l’unica voce di bilancio da poter tagliare, per non privare Borbona di altri servizi. Adesso, come dicevamo all’inizio, al mattino il paese è tutto uno sciamare di scuolabus: 12 bambini prendono quello “nuovo” per Montereale, 14 quello per Antrodoco, un altro arriva dal vicino paese di Posta per accompagnare lì i bambini dell’asilo.

«Paesi come il nostro costituiscono la spina dorsale dell’Italia e non è giusto farli morire», ripete la sindaca. Tanto più dopo un terremoto che a Borbona non provocò vittime, ma il 90% delle case del centro storico distrutte e il 50% in quel territorio che d’estate si popolava di vacanzieri che ora si cerca di far tornare, con varie attività (un paio di b&b, la macelleria, i bar, una enogastronomia) che hanno rialzato le serrande. E due settimane fa, un altro segno di speranza è arrivato dalla riapertura al culto di San Giuseppe, messa in sicurezza con i fondi della diocesi.

Da Avvenire.it

Cento chiese da riparare: proseguono le messe in sicurezza nelle aree del sisma

A tre anni dal terremoto non viene meno la preoccupazione per i beni culturali. La gran parte delle opere d’arte è stata recuperata e protetta in appositi magazzini, grazie al lavoro in collaborazione del Ministero per i Beni Culturali, del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale e della Diocesi di Rieti e al supporto dei Vigili del Fuoco. Di conseguenza lo sguardo si rivolge soprattutto agli edifici di culto. Le chiese, del resto, sono per definizione un punto di ritrovo, un luogo della comunità, legato alla fede, alle tradizioni, al senso della festa.

Situazioni che assumono un sapore particolare per popolazioni provate dalle calamità naturali. In paesi dove il lutto è stato grande, dove tutto o molto è stato distrutto, dove la vita fatica a tornare normale, i luoghi di culto assumono una valenza identitaria. Ma anche le chiese di comunità più lontane dall’epicentro hanno avuto danni dal terremoto e necessitano di interventi. La situazione è dunque molto complessa e i numeri sono impegnativi. Vanno inoltre tenute presenti le diverse competenze sugli immobili, né si può dimenticare che le azioni sui beni culturali si innestano in un più ampio quadro, che coinvolge anche gli interventi abitativi, le attività economiche, gli edifici pubblici.

Il primo ente ad avere voce in capitolo sui beni culturali è il MiBac, che decide quali beni tutelare in esclusiva. Sul resto agiscono i comuni e le diocesi. I primi intervengono prevalentemente per ragioni di pubblica incolumità; le seconde agiscono sul resto degli edifici con lo scopo primario di tutelare il bene culturale ed evitare ulteriori danni.

L’impegno della diocesi: 70 chiese in un’area vasta

Nel Centro Italia l’impegno più vasto l’ha assunto la Chiesa di Rieti. Sulle scrivanie dell’Ufficio tecnico e dell’Ufficio Beni culturali della diocesi, sono infatti aperti i fascicoli su settanta chiese, tra interventi conclusi, in fase di esecuzione o in progettazione. Si tratta di edifici presenti non solo nell’area più interna del cratere, ma su tutto il territorio diocesano. Coinvolgono infatti i territori di Amatrice, Accumoli, Posta, Borbona, Leonessa, Cittareale, Borgovelino, ma anche Rieti, Belmonte in Sabina, Rocca Sinibalda, Concerviano, Pescorocchiano, Petrella Salto, per un costo di circa 3,2 milioni di euro, un milione dei quali riguarda lavori già completati o in corso di esecuzione.

L’attività dei comuni: 16 chiese per 4 amministrazioni

I comuni attivi negli interventi diretti sul patrimonio edilizio culturale sono quattro: Amatrice, Leonessa, Borbona e Cittareale. Superate le fasi concitate dell’emergenza, con il comune di Amatrice in particolare c’è stato un costante coordinamento con la diocesi per razionalizzare gli interventi e disporre la massima copertura possibile sul territorio. Delle sette chiese prese in carico dal Comune di Amatrice, sono al momento quattro ad aver completato gli interventi di messa in sicurezza: risultano ancora in corso, infatti, gli interventi sulla chiesa di Santa Giusta, in quella di Santa Maria a Collemoresco e su San Michele Arcangelo nella frazione Bagnolo. Sono conclusi anche gli interventi del comune di Leonessa e di quello di Cittareale, con il primo che ha preso in carico sei chiese e il secondo che è intervento su altre due. È ancora aperta, invece, l’unica messa in sicurezza avviata dal Comune di Borbona, con il cantiere aperto nel santuario di Santa Maria del Monte.

Eccezionale rilevanza artistica o storica: gli 11 interventi del MiBac

Gli edifici adottati in via esclusiva dal MiBac sono undici: si tratta soprattutto di opere architettoniche di particolare pregio, per l’eccezionale rilevanza artistica o storica, comprese per la quasi totalità nell’area più vicina all’epicentro. Fa eccezione la chiesa di Santa Chiara in Rieti, che è anche l’unica sulla quale sono ancora in corso gli interventi da parte del MiBac. Le messe in sicurezza delle altre chiese direttamente prese in cura dal Ministero sono infatti da considerare concluse. Tra queste figurano quelle dedicate a Sant’Agostino e San Francesco in Amatrice, insieme ai santuari riccamente affrescati dell’Icona Passatora e della Madonna di Filetta.

Dalle messe in sicurezza alla ricostruzione

Tutti quelli elencati sono interventi tesi a salvaguardare il bene o la pubblica incolumità. Per loro stessa natura le messe in sicurezza non hanno a che fare con la ricostruzione vera e propria. Anche i fondi utilizzati, infatti, non rientrano nei capitoli di spesa della ricostruzione, ma provengono dagli stanziamenti emergenziali conseguenti al terremoto. Non a caso le procedure per dare vita a questo complesso di interventi sono state disposte dal Dipartimento della Protezione Civile attraverso due specifiche ordinanze. In questo ambito, sono ventiquattro gli interventi conclusi dalla diocesi, più di quaranta i cantieri avviati o pronti a partire. Tutte opere che consentono la conservazione del bene e, quando possibile, anche la fruizione liturgica della chiesa.

Gli interventi definitivi sugli immobili, rientrano invece nel processo della ricostruzione, le cui procedure vengono definite dal Commissario Straordinario nominato dal Governo. È il caso dell’Ordinanza n. 38 del settembre 2017, che sul territorio reatino vedrà svolgere un primo piano di interventi sui beni del patrimonio artistico e culturale. Tra le diciassette chiese interessate, quella di Sant’Agostino in Amatrice, i santuari della Madonna di Filetta e dell’Icona Passatora, il santuario di San Giuseppe da Leonessa, e la Cattedrale di Rieti.

Oltre duecento persone a Borbona per il Rigoletto di Verdi

Lo straordinario esperimento itinerante su ruote del Teatro dell’Opera di Roma è approdato a Borbona.

Oltre duecento le persone riunite in piazza Concezio Colandrea per assistere gratuitamente ad una straordinaria versione de “Il Rigoletto” di Giuseppe Verdi, salutata con applausi e gratitudine dalla popolazione borbontina, che ha sempre dimostrato una buona predisposizione ad assorbire iniziative artistico – culturali.

Terza edizione per l’Opera Camion, gigantesco tir-palcoscenico che diventa un vero e proprio teatro su ruote oltre che scatola magica da dove sbucano maschere, animazioni, costumi e immagini. Quest’anno tra le periferie prescelte ci sono anche quelle interessate dal cratere sismico, come Cittareale, Amatrice, Borbona e Poggio Bustone.

Una messa in scena innovativa ma priva di slanci avanguardistici à la page che tanto impazzano nell’ultimo periodo, corredata da cantanti e orchestra di altissimo livello, allestita in forma ridotta e ad ingresso totalmente gratuito. L’opera lirica su ruote è una scommessa artistica voluta Carlo Fuortes e Alessio Vlad, Sovrintendente e Direttore artistico dell’Opera di Roma, ideata per pensare il melodramma anche fuori dai canonici spazi: «è importante continuare a fare l’opera in teatro, ma è molto bello pensare che si possa farla anche al di fuori, caricando un allestimento su un camion che può girare per le strade, arrivare in una piazza ed essere pronto in sei ore».

All’originale progetto hanno aderito il Teatro Massimo di Palermo all’inizio, e in seguito il Teatro dell’Opera di Roma, sposando l’idea di un’opera che arrivi alle persone e non viceversa, e spazzando via i tentennamenti legati alla fruizione del melodramma a teatro, che abitualmente coincide con un cospicuo biglietto , una durata lunga e un abbigliamento appropriato. Opera Camion è dunque prima di tutto un’operazione culturale che investe su cuori ed anime superando ogni formalità elitaria e mirando a colpire lo spettatore in jeans e scarpe da ginnastica, magari seduto a terra con tutta la famiglia. «Non vogliamo creare un nuovo pubblico per il Teatro dell’Opera – ha dichiarato Fabio Cherstich, ideatore del progetto – il nostro obiettivo è che persone che altrimenti non avrebbero mai pensato di assistere a uno spettacolo possano dire: sì, ho visto uno spettacolo d’opera».