Un anno senza don Angel, una lezione tutta da imparare

Chissà cosa avrebbe detto Angel della situazione che stiamo vivendo. Probabilmente prima avrebbe sgranato un po’ gli occhi neri o abbozzato un sorriso: e poi avrebbe accettato ogni regola, ogni restrizione e ogni sacrificio senza battere ciglio, in obbediente silenzio.

Don Angel Jiménez Bello, dal settembre 2018 parroco di Amatrice, si spegneva l’8 maggio 2019 a soli 35 anni in un ospedale romano, a seguito di una malattia che non gli ha lasciato scampo.

«Il suo desiderio era annunciare il Vangelo con la vita. E ce ne siamo accorti sia come parroco con il suo rigore, la sua intelligenza, la sua simpatia; sia come malato con la sua dignità, il suo coraggio, la sua delicatezza. Una forza alimentata da mondo interiore, cui attingeva energia e fiducia, ben oltre l’umano, da una fede che non l’ha mai abbandonato», disse il vescovo Pompili durante l’omelia per il suo funerale, al palazzetto dello sport di Amatrice.

Angel sapeva attingere coraggio da qualsiasi cosa lo circondasse. Ed è con grande disciplina e dignità che ha affrontato i giorni della sua malattia, con la speranza di scalare di nuovo le sue montagne peruviane.

E la «sua consegna» il vescovo Domenico l’ha evocata proprio attraverso un’immagine che ritrae il sacerdote «nel bel mezzo di stupende montagne e ordinatissimi terrazzamenti»: un paesaggio andino che dà le vertigini, come la promessa della vita eterna. Una speranza propria del pastore «che si dà da fare per accompagnare gli altri sui sentieri più alti». E se anche su quelle vette, sotto il cielo terso «Dio sembra allontanarsi e diventare invisibile», in realtà «Lui è sempre con noi».

È sempre con noi anche adesso, dopo un anno. La sua lezione di vita non è facile da dimenticare, per chi lo ha conosciuto bene, e le sue parole, specie quelle dei suoi ultimi giorni di vita, ti restano impresse dentro come monito per i tuoi giorni a venire.

«Se da Dio accettiamo il bene, perché non dobbiamo accettare il male?», ripeteva sempre, e lo ha ripetuto fino all’ultimo giorno, stupendosi come un bambino della rabbia diffusa, del sentimento di ripicca e malcontento sempre più comune.

Persone sempre insoddisfatte, pronte a farsi la guerra, restie e a sorridere. Lui non capiva, alzava le spalle e allargava le braccia con le ultime forze che aveva, a sottolineare il bello della vita che molti non riuscivano proprio a cogliere.

Lui quel bello lo trovava ovunque. In un raggio di sole che filtrava dalla finestra della sua stanza in ospedale, nel gelato al caffè che gli veniva portato, negli spicchi di un’arancia, «buona e succosa», nelle barzellette metà peruviane e metà italiane che lo facevano tanto ridere, per le ironie diverse e contrapposte.

Non si è mai arreso padre Angel, non ha mai spento il suo sorriso e la sua simpatia tutta sudamericana, continuando ad «avere pazienza senza mai mollare». Dal letto dell’ospedale San Camillo Forlanini, tra una dolorosa terapia e l’altra, arrivavano ogni giorno i suoi buenos días accompagnati dalle emoticon divertite, perché «bisogna tenere alto il buonumore, per aiutare il fisico, perché si riprenda presto».

Don Angel ha studiato e monitorato la sua parrocchia fino all’ultimo, meditando di tornare presto nel paese minato dal terremoto in cui era stato chiamato a prestare servizio pastorale, e appena possibile nel suo amatissimo Perù, dove ha lasciato i genitori e sette fratelli maggiori.

Durante la lunga e difficile degenza, è stato felice di aver potuto celebrare in Quaresima la Santa Messa in ospedale, utilizzando un altare di fortuna. Felice di ricevere visite, di ascoltare una bella canzone, di leggere un bel libro o vedere un film. Felice di ascoltare i racconti di ciò che accadeva fuori oltre il vetro della sua finestra. E la domenica lo era ancor di più, perché «è domenica, e quindi sto bene».

Una felicità scovata con la forza della fede nel marasma della grande sofferenza: una felicità che è stata la più grande lezione che si potesse ricevere, e che don Angel ha saputo tirar fuori non solo nella consapevolezza di una malattia senza scampo, ma anche nei tanti momenti difficili della sua vita.

Una lezione dalla quale il popolo di Amatrice – che Angel ha tanto amato – dovrebbe attingere sempre, per non lasciarsi sopraffare da sentimenti di rabbia e risentimento, ma anzi sapendo trovare il buono che c’è nel prossimo e nella generosità ricevuta: solo così, con la forza e il coraggio della partecipazione attiva, la comunità potrà rigenerarsi e reinventarsi, e rinascere migliore di prima.

I colleghi ricordano Patrizia Bizzoni, vigilessa morta nel terremoto

Una giornata commovente nel Centro di Comunità Sant’Agostino di Amatrice, che ha visto tante persone strette nel ricordo di Patrizia Bizzoni, agente di polizia locale deceduta nel tragico sisma del 24 agosto 2016. Alla celebrazione, voluta dai colleghi dell’International Police Association, comitato locale di Rieti, ha visto grande partecipazione dei soci provenienti dal Centro Italia, dai componenti della Polizia Locale di Roma, Rieti e provincia, nonchè della forze dell’ordine.

Alla “giornata per Patrizia” ha partecipato anche il sindaco facente funzione Filippo Palombini e una parte della comunità stretta in memoia della vigilessa del paese.

La celebrazione liturgica è stata presieduta dal vescovo Domenico che ha voluto rimarcare l’importanza dell’unione, soprattutto in questa fase di stallo: «Il disorientamento generale si supera solo in virtù di chi sa trovare un orientamento a partire dalla proprie convinzioni interiori, che non corrispondono al tornaconto o all’utile. Quello di cui c’è oggi bisogno sono donne e uomini che lasciandosi guidare dalla luce di Dio ritrovano la strada del bene e della gratuità che rivivono nell’amicizia e nell’incontro».

Molte sono state le testimonianze che hanno ricordato la figura di Patrizia: i colleghi, gli amici, i conoscenti. Momenti toccanti che hanno fatto riflettere sulla caducità della vita terrena. «Patrizia Bizzoni nell’esercizio del suo servizio professionale è andata ben oltre quello che le spettava in termini di ruolo pubblico e si è lasciata incontrare come persona sensibile e di retti principi. Il Signore l’avrà accolta nel suo Regno di luce e di pace», ha concluso monsignor Pompili.

Al termine della Santa Messa, dopo un lungo e commosso applauso, il centro di comunità di Sant’Agostino di Amatrice si è svuotato silenziosamente, nel pensiero di Patrizia e di tutte le persone che la notte di quel tragioc 24 agosto sono rimaste vittime del terremoto.

Il comitato di Rieti dell’International Police Association ha consegnato una targa commemorativa in memoria di Patrizia ai suoi congiunti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Una giornata per Patrizia”: l’International Police Association ricorda la collega Patrizia Bizzoni

L’International Police Association comitato locale di Rieti , come segnale di vicinanza comunitaria e come seme per lo sviluppo di solidi legami di amicizia e collaborazione tra appartenenti ai Corpi di Polizia, dedicherà oggi venerdì 12 aprile 2019 una giornata in ricordo della collega Patrizia Bizzoni.

Patrizia, agente del Corpo di Polizia Locale di Amatrice, perse la vita a soli 55 anni a causa dei crolli causati dal sisma del 24 agosto 2016 che devastò il paese del reatino dov’era nata, dove viveva e dove lavorava. Attraverso il simbolico abbraccio alla memoria della collega amatriciana, l’IPA intende unirsi nella preghiera e nel sentito pensiero verso tutti i garanti della giustizia scomparsi in tragiche circostanze. La giornata si svolgerà ad Amatrice.

Alle ore 11.00 il vescovo Domenico celebrerà la Santa Messa nel Centro di Comunità Sant’Agostino, a seguire verrà consegnata una targa commemorativa ai congiunti di Patrizia. Saranno presenti autorità locali e vertici nazionali IPA.

L’evento è aperto a tutti coloro vogliano partecipare alla giornata.