A 19 anni dalla scomparsa, monsignor Aquilini ricorda il “poeta dall’animo celeste” Federico Tosti

«Il maestro e amico Federico Tosti, l’alpinista di Collespada innamorato della montagna e della vita il 19 aprile 2001 moriva a Cascia all’età di 103 anni», scrive monsignor Luigi Aquilini.

Alpinista e guida alpina, scrittore e poeta in lingua e in romanesco, Federico Tosti è uno dei personaggi del Gran Sasso meno conosciuti e più interessanti.

«Domenica 6 ottobre 1999 lo scrittore Carlo Cremona lo va a visitare nella casa di montagna, come la visita di Maria ad Elisabetta», ricorda don Luigi. «Non una gita, ma un pellegrinaggio! Collespada, piccola frazione di Accumoli, si raggiunge per strade tortuose ma belle, elevate come verande, oltre i 1000 metri! Risiedevano nel paese solo sette abitanti e Federico è il re con i suoi 101 anni.  Si direbbe una reliquia di vecchio? Macchè! È una quercia vigorosa, una mente chiara; parve a Carlo Cremona come una montagna per dignità, che incute rispetto: carico più che di anni , di quella fede che prima di costruire un’auto, costruisce l’uomo. È stato autodidatta, letterato e poeta, scalatore solitario e anche in cordata come guida alpina. Ha trasfuso l’amore per la montagna a tanti giovani anche con le sue poesie in dialetto romanesco. Aldo Fabrizi, suo amico, lo chiamava “poeta dall’animo celeste”».

Il giorno del suo funerale, don Luigi Aquilini lo ricordò così: «Dopo aver percoso per moltissimi anni i setnieri di questa terra, jai intraspreso quello del cielo, caro Federico. Vi sei giunto in solitaria, senza disturbare nessuno, lasciando dietro di te una lunga cordata di compagni di viaggio. Sei passato accanto a noi come un angelo di bontà; spargesti durante la tua non breve esistenza terrena, a larghe mani, i semi della bontà, dell’amore alla natura e al suo Creatore: il tuo cuore ricco di profonda umanità ti ha portato ad amare tutti e tutte le cose. Amavi la montagna, la salita: ricordo alcuni tuoi versi” a la pianura sempre preferì la terra gobba!”. Per il tuo epitaffio lasciasti scritto: “Nun fece che salì tutta la vita!”. E ci ha lasciato facendo la tua ultima salita per una delle tante ripide vie di Cascia per raggiungere la vetta: Dio! Hai riportato in tanti giovani e non giovani la fiducia nella vita, l’amore, l’entusiasmo, la giovinezza dell’animo. E ciò fino agli ultimi giorni della tua esistenza terrena. Di san Francesco scrivesti: Ed ei pregava: ti darò Signore / fino all’ultimo anelito di vita / con gioia mesta ed umiltà d’amore! Così hai fatto anche tu. Federico. Ora che hai raggiunto la meta, aspettaci come hai fatto tante volte».

L’ultimo saluto al giovane Emiliano, il vescovo: «Facciamo come lui, non smettiamo mai di sognare»

Lacrime di commozione nel palazzetto dello sport di Amatrice per le esequie del giovane Emiliano Stecconi, giovane allevatore trovato morto per un malore nella stalla dove custodiva i propri animali.

Occhi lucidi anche per il vescovo Domenico, che ha presieduto la liturgia di commiato. Cita Davide e Golia, monsignor Pompili, e paragona il piccolo pastore Davide a Emiliano. «Emiliano, infatti, è andato via troppo presto, ma ancor prima è stato coraggioso dinanzi ad un altro gigante: il terremoto! Emiliano non è fuggito, ma è rimasto; spendendosi con coraggio e disinteresse. Quel che colpiva di lui era il suo essere ‘alternativo’: nell’abbigliamento come nella vita di ogni giorno. Alternativo per l’amore agli animali, per la passione alla montagna, per l’impegno al lavoro».

Uno stile di vita volto alla tenacia e alla non rassegnazione, quello del giovane di Santa Giusta, «che non si perdeva in inutili polemiche e non si abbandonava a ragionamenti meschini». Uno sprone a non abbattersi, a non avvitarsi in ragionamenti sterili, lamentosi, improduttivi, che non fanno che peggiorare la già difficile situazione delle zone colpite dai terremoti del 2016.

Un invito a fare come Emiliano, a «non mollare mai la presa, al punto che a qualcuno appariva un “sognatore”». E ora, proprio la sua scomparsa pare «invitarci a non rinunciare ai sogni: quelli intorno a questa terra, alla rigenerazione di questo territorio, anche quando sembra si tratti di un’impresa impossibile».

Parole che hanno squarciato il silenzio del palazzetto, scuotendo il paese afflitto dalla prematura scomparsa, con le serrande abbassate per il lutto cittadino. Parole che appaiono difficili da mettre in pratica, come ha ammesso lo stesso vescovo. «Viene da chiedersi: da dove Emiliano traeva tanta energia e com’è che ha continuato a sognare mentre noi forse abbiano da tempo smesso di farlo?».

Così come il Battista rispetto ad Erode, «non ha paura, per quanto viva apparentemente una condizione di subalternità rispetto al potere gaio e spensierato. Per contro, Erode, teme quest’uomo di Dio anche se non riesce ad evitarne la morte. Nel cuore di Erode si combattono due timori: quello di Dio e quello dell’opinione degli uomini. Ha paura di loro, sospetta, vede nemici dappertutto. Come in guerra si ha paura anche di uno sguardo e di uno stormire di fronde. Emiliano non ha avuto mai paura e al tempo stesso è sempre stato vicino a Dio».

Tanti i messaggi di cordoglio per il giovane allevatore, come anche tante le lacrime versate dai coetanei, dagli amici e dai paesani, al momento delle testimonianze portate alla fine della celebrazione.

«Impariamo da lui come lui alzarsi», ha concluso monsignor Pompili. «Qualche volta anche più volte nel cuore della notte se stava per partorire una mucca – e come affrontare – ad ogni alba – quel che c’è da fare».

 

«Un fratello che ci ha rubato il cuore». Dalle Ande agli Appennini il cordoglio per don Angel

In tanti si sono riuniti nel palazzetto dello sport di Amatrice in occasione delle esequie di don Angel Jiménez Bello. Un ultimo saluto al giovane parroco di Sant’Agostino, che il 24 agosto del 2016 aveva condiviso con la popolazione i tragici momenti del sisma, occupandosi di mettere in salvo gli anziani della Casa di Riposo. Tra i Monti della Laga era arrivato da poco più di due mesi, e tra quelle vette era tornato a poca distanza dal terremoto, dopo un breve periodo a Potenza, per ricevere le consegne della parrocchia da don Savino D’Amelio, eletto Superiore Generale della Famiglia dei Discepoli di Giovanni Minozzi. Quasi un segno per il giovane sacerdote, primo dei Discepoli peruviani a ricongiungersi al venerato fondatore che proprio in seno alla comunità di Amatrice aveva dato forma compiuta alla sua missione.

Un’appartenenza confermata dalla presenza dei confratelli della Famiglia dei Discepoli, che affiancati da molti sacerdoti e religiosi della diocesi, hanno concelebrato la funzione presieduta dal vescovo Domenico. Prendendo spunto dalle letture del giorno, mons Pompili ha letto la vicenda di don Angel attraverso la figura dell’apostolo Paolo. «Egli è lo strumento che ho scelto per me», la suggestione presa dalle parole attribuite a Gesù nella celebre visione sulla via di Damasco.

«Il suo desiderio era annunciare il Vangelo con la vita. E ce ne siamo accorti sia come parroco con il suo rigore, la sua intelligenza, la sua simpatia; sia come malato con la sua dignità, il suo coraggio, la sua delicatezza», ha spiegato il vescovo, che di don Angel ha ricordato l’animo sempre aperto alla speranza, la disciplina che gli impediva di piangersi addosso. Una forza alimentata da «mondo interiore, cui attingeva energia e fiducia, ben oltre l’umano», da «una fede che non l’ha mai abbandonato».

Quella stessa fede nel «pane vivo, disceso dal cielo», che sembra difficile, incomprensibile, impossibile di fronte alla morte che travolge «anche a trent’anni». E ora che la vicenda di don Angel «ci ha strappato all’improvviso dalla routine quotidiana, dalla ricostruzione che non parte, dalla convivenza che si è fatta più esigente» l’errore più grande sarebbe quello di «seppellire con lui la sua speranza di vita».

La «sua consegna» è un’altra e don Domenico l’ha evocata attraverso un’immagine che ritrae il sacerdote «nel bel mezzo di stupende montagne e ordinatissimi terrazzamenti»: un paesaggio andino che dà le vertigini, come la promessa della vita eterna. Una speranza propria del pastore «che si dà da fare per accompagnare gli altri sui sentieri più alti». E se anche su quelle vette, sotto il cielo terso «Dio sembra allontanarsi e diventare invisibile», in realtà «Lui è sempre con noi».

«Come ora è con Angel – ha concluso il vescovo – che nel frattempo è diventato per noi un fratello maggiore che ci ha rubato il cuore».

Un affetto visto, oltre che nel ricordo commosso dei confratelli, stretti attorno ai familiari, nella breve testimonianza resa da alcuni giovani della parrocchia, che gli hanno reso omaggio con le parole e con la musica. Alla lettura di una breve lettera rivolta al sacerdote scomparso hanno infatti voluto aggiungere l’ascolto di una canzone da lui particolarmente amata. E al termine della messa, il viaggio verso il cimitero di Amatrice per il rito della sepoltura è stato preceduto dalla proiezione di una sequenza di foto di don Angel, anche riprese durante le attività pastorali nel borgo colpito dal terremoto.

Come a dire che la sua esperienza di parroco, pure se breve, ha saputo tracciare una via da seguire per chi rimane nella difficile situazione della ricostruzione, una bussola che punta con sicurezza verso il cielo.

È morto don Angel, parroco di Amatrice

«Se da Dio accettiamo il bene, perché non dobbiamo accettare il male?». Lo ripeteva sempre don Angel Jiménez Bello, e lo ha ripetuto fino all’ultimo giorno, affrontando la sua devastante malattia con un coraggio che ha lasciato tutti senza parole.

Il sacerdote peruviano, parroco di Amatrice dal settembre 2018, si è spento nel pomeriggio di ieri a soli 35 anni in una clinica di Roma, assistito dai confratelli dell’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia.

Non si è mai arreso don Angel, non ha mai spento il suo sorriso e la sua ironia tutta sudamericana, continuando ad «avere pazienza senza mai mollare». Dal letto dell’ospedale San Camillo Forlanini, tra una dolorosa terapia e l’altra, arrivavano ogni giorno i suoi “buenos días” accompagnati dalle emoticon divertite, perché «bisogna tenere alto il buonumore, per aiutare il fisico, perché si riprenda presto».

Don Angel ha studiato e monitorato la sua parrocchia fino all’ultimo, meditando di tornare presto nel paese minato dal terremoto in cui era stato chiamato a prestare servizio pastorale, e appena possibile nel suo amatissimo Perù, dove lascia i genitori e sette fratelli maggiori.

Durante la lunga e difficile degenza, don Angel è stato felice di aver potuto celebrare in Quaresima la Santa Messa in ospedale, utilizzando un altare di fortuna. Felice di ricevere visite, di ascoltare una bella canzone, di leggere un bel libro. Felice di mangiare il gelato al caffè che tanto gli piaceva, di assaporare una fresca arancia. Felice di ascoltare i racconti di ciò che accadeva fuori oltre il vetro della sua finestra. E la domenica lo era ancor di più, perché «è domenica, e quindi sto bene».

Una felicità scovata con la forza della fede nel marasma della grande sofferenza e nella consapevolezza di una malattia lunga e dolorosa: una felicità che è stata la più grande lezione che si potesse ricevere.

Il vescovo Domenico, i sacerdoti e i dipendenti e collaboratori della curia di Rieti si stringono nella preghiera e nel cordoglio per la prematura scomparsa di don Angel.

Le esequie del sacerdote saranno celebrate dal vescovo Domenico domani venerdì 10 maggio alle ore 16 presso il Palazzetto dello Sport di Amatrice.