Il sorriso di due nuovi amici tra i monti della Laga

Durante tutto l’arco della settimana corrente, chiunque si imbatta nei pressi di Accumoli, non potrà fare a meno di notare la presenza di due nuovi amici: due frati francescani dall’accento anglo-africano. Sono fra Daicolas e fra Renatus, entrambi di origini africane, attualmente allocati presso il convento Beato Giacomo dei frati minori di Puglia e Molise.

Approfittando della pausa estiva, Daicolas e Renatus hanno deciso di far visita ad una conoscenza di vecchia data, padre Carmelo, diventato per loro un punto di riferimento, al pari di un componente della famiglia. «Non volevamo fare una vacanza riposante, ma incontrare qualcuno che fosse una parte della nostra storia» ha infatti raccontato Renatus.

Una storia nata in Africa, quando fra Carmelo era Ministro Provinciale dell’Africa dell’Est, e trasformatasi poi in amicizia. «Lo spirito di san Francesco che ci ha guidato fin dal principio della nostra vocazione, ci ha condotto qui ad Accumoli, per vivere un po’ insieme a queste persone attraverso gli insegnamenti del Vangelo» ha commentato Daicolas.

Ma qual è il percorso che ha condotto questi due giovanissimi frati fino a al convento di Bitetto? Daicolas Nsabimana nasce in Ruanda il primo dicembre 1990. Dopo il discernimento iniziale, per due anni, dal 2013 al 2015, effettua il postulato in Tanzania, spostandosi poi in Uganda per il noviziato. Sempre in Uganda, il 15 luglio 2016 prende i primi voti e si sposta in Zambia per studiare filosofia. Ottenuta la laurea nel maggio 2019, a luglio arriva in Italia e decide di studiare teologia presso l’istituto teologico di Santa Fara di Bari, in cui è tutt’ora iscritto.

Nshimirimana Renatus nasce invece in Burundi il 3 ottobre 1990. A partire dalla fine del 2013 fino alla seconda metà del 2015, anche lui svolge il postulato in Tanzania per poi approdare al noviziato in Uganda: «Il 15 luglio 2016 è stato il primo giorno della mia professione religiosa». Tra il 2016 e il 2019 studia filosofia e si laurea all’università di san Bonaventura a Lusaka. Dal 20 luglio 2019 si trova insieme a Daicolas nel convento del Beato Giacomo e ha da poco concluso il primo anno di teologia all’ l’istituto teologico di Santa Fara.

I due frati rimarranno in Italia per 3 anni ma il loro pensiero è quello di tornare in Africa. «Gli studi in teologia ci aiuteranno a capire di più la realtà in cui viviamo, ma sarebbe da egoisti pensare che qui sia meglio. Viviamo a Bitetto e ci sentiamo parte della comunità di frati minori di Puglia e Molise, che ci ha fatto sentire a casa da subito, ma apparteniamo al cento per cento alla provincia dell’Africa dell’Est».

Il sorriso di fra Renatus e di fra Daicolas può essere davvero una ventata di positività per gli abitanti di Accumoli che, con l’occasione, hanno anche la possibilità di rispolverare qualche parola di inglese. Non ci resta che augurare loro buone vacanze e un grosso in bocca al lupo per il futuro accademico!

La tesina di Francesco e il legame con la sua terra

A soli 13 anni Francesco di Cosmo, giovane cittadino amatriciano, si è già contraddistinto per il suo attaccamento al territorio natio, dimostrando un amore incondizionato per le sue radici. Francesco ha infatti da poco sostenuto gli esami di terza media presso l’istituto omnicomprensivo “Sergio Marchionne” di Amatrice e nella sua tesina, improntata sulla Grande Guerra, ha riservato uno spazio speciale all’istituto Padre Giovanni Minozzi.

«L’argomento mi interessava molto – ha raccontato Francesco – perché don Minozzi è stato un personaggio importante per Amatrice: ha istituito questo centro per aiutare i bambini rimasti orfani a causa della guerra. Inoltre, sono anche incuriosito dal progetto della Casa del Futuro che si svilupperà negli spazi dell’istituto».

«Quando Francesco, mi ha espresso il desiderio di scrivere su don Minozzi, circa l’argomento di Religione da portare all’esame di terza media, ho dichiarato con molta felicità e gratitudine il mio parere positivo, in quanto si trattava di un tema che non era mai stato affrontato fino a quel momento» ha spiegato la professoressa Annalisa Mazzeo.

«Nella tesina – ha continuato la docente – lo studente ha messo in rilievo come il sacerdote sia stata una figura importante per la sua città, ultimamente martoriata da avvenimenti che purtroppo tutti noi conosciamo e come, con questo scritto, abbia cercato di evidenziare in che modo la figura di Don Minozzi lo abbia particolarmente colpito, soprattutto perché costituisce un legame e un ricordo importante con il suo amato paese, Amatrice».

Ed è stato proprio questo il valore aggiunto dell’elaborato, l’aver portato anche una parte della sua vita privata. Quando, in seguito al sisma, la famiglia Di Cosmo si era a L’Aquila, Francesco ha rinunciato alla comodità di scuola a due passi da casa per ritornare nel suo paese con i suoi amici: «Non mi sarei mai abituato ad abitare in una città come L’Aquila».

Così, per ben due mesi, i genitori di Francesco si svegliavano alle sei per accompagnarlo a scuola e per ingannare il tempo, dato che il terremoto aveva distrutto il loro negozio, si recavano al campo Caritas per dare una mano.

«Con questa tesina Francesco ha voluto ringraziare tutti i professori che lo hanno accompagnato durante il suo percorso scolastico. Ci teneva che fosse inserita ogni materia perché ciascuno di loro è entrato nel suo cuore, lasciando un bel ricordo» ha detto Rita, madre del ragazzo.

I genitori sono sempre dei punti di riferimento e, in questo caso, lo sono stati ancora di più, poiché affrontare gli esami dopo una pandemia e su una casetta con le ruote non può dirsi impresa facile. Nonostante tutto, Francesco non ha perso la speranza e ha vissuto i colloqui telematici come «una nuova esperienza».

Ora che finalmente gli esami sono solo un ricordo e che si può tornare ad uscire, Francesco si gode l’estate con i ritrovati amici, consapevole di rappresentare una speranza per le nuove generazioni di Amatrice.

Ancora colpiti, ancora resilienti

Se è vero che il lockdown causato dalla pandemia è un fenomeno di scala mondiale, è altrettanto vero che a risentirne maggiormente sono quelle comunità già sensibili, che cominciavano a rialzarsi dopo anni bui. È il caso delle popolazioni delle zone terremotate del centro Italia che mai come in questo momento stanno vivendo una vera e propria emergenza nell’emergenza.

L’arrivo della bella stagione significava per il territorio dei monti della Laga il ritorno dei turisti e la conseguente ripresa delle attività di ristorazione e intrattenimento. Quest’anno, la riapertura appare come qualcosa di ancora lontano e non ben definito. Ad illustrare meglio la situazione, una voce interna, quella Fabrizio Berardi proprietario, insieme alla sua famiglia, del villaggio Lo Scoiattolo di Amatrice.

«Dopo il terremoto, tutti i titolari delle attività si sono ingegnati per poter riaprire. Lo Scoiattolo, in particolare, si è reinventato con un tendone da circo che ha permesso sia di riattivare il ristorante, che di dare vita ad una serie di eventi culturali e musicali». Ristorazione di qualità e cultura unite allo sport: dalla pesca sportiva nel lago alla piscina, il villaggio offre nei suoi spazi interni ed esterni una serie di servizi che consentono agli ospiti di passare l’estate nel migliore dei modi.

«A metà marzo, stavamo ripartendo con il lago e il ristorante ma l’epidemia ci ha lasciato in stand by. È un dramma per tutti – continua Fabrizio – ma per le zone terremotate è una doppia emergenza. Rispetto agli altri, abbiamo una mole di lavoro in più a causa della ricostruzione, quindi sorge spontaneo domandarsi in che modo poter affrontare la stagione».

Dati gli ampi spazi di cui dispone la struttura, i titolari si stanno organizzando al meglio per poter far rispettare alla clientela tutte le norme di sicurezza. «Sarà necessario rimanere a distanza e cercare di non creare assembramenti. Per questo, stiamo pensando di ottimizzare lo spazio intorno al lago, dando la possibilità di stare insieme con le dovute cautele».

«Vorremmo rilanciare, oltre alla pesca, anche attività sportive come tennis da tavolo e da campo, tiro con l’arco e nuoto. Inoltre, stiamo lavorando su un paio di progetti che ci daranno la possibilità di godere di momenti di intrattenimento e di iniziative culturali. Un programma last minute, che ci consenta di rispettare tutte le nuove norme. Dovremmo riuscire rilanciarci ancora una volta, sperando che questo 2020, non iniziato nel migliore dei modi, possa cambiare per tutti. D’altronde, come abbiamo imparto dal passato, bisogna essere resilienti e guardare il futuro con positività, perché le prove non finiscono mai».

De resto, gli abitanti del territorio hanno sempre dimostrato di sapersi rialzare, e lo faranno anche questa volta. Ci sarà sicuramente una flessione generale, soprattutto legata all’arresto del turismo ma, anche questo caso, Fabrizio si dice ottimista «a causa di questi mesi passati in casa, ci sarà bisogno di aria aperta e di godere di una bella passeggiata. Mi auguro che Amatrice, dopo aver ricevuto tanta solidarietà, possa continuare ad essere una meta ambita per le sue bellezze naturali che ben si sposano con la concezione di escursionismo lento e responsabile come quello legato ai cammini».

Cooperativa Rinascita 78: «La bellezza della natura ci salverà»

Il territorio colpito dal sisma è ricco di storie di persone e realtà che non si arrendono. Ne è un esempio la Cooperativa Agricola Zootecnica Rinascita ’78, un’azienda sita nella frazione di Illica, in Accumoli, coordinata dai suoi quattro fondatori: Tonino, Sandra, Alfredo e Mara. «La cooperativa nasce nel 1978 con la legge 285 – spiega Sandra – legge regionale volta ad aiutare l’ingresso dei giovani mondo del lavoro. A noi ha permesso di rimanere sul territorio e innovare nel campo dell’agricoltura. Eravamo tutti ragazzi e questo progetto è nato per riprendere da dove erano arrivati i nostri genitori e andare avanti».

Con il passare degli anni l’azienda si è ingrandita sempre di più fino a diventare «un punto di aggregazione significativo per quanti erano in cerca di qualcosa di diverso dalla città, ma anche uno spazio sociale che ha accolto persone in difficoltà». D’altronde, la montagna ha sempre avuto un forte richiamo e «in passato – continua Sandra – gli agricoltori di questi luoghi erano considerati “i signori della terra”. E in effetti producevano ossigeno, una risorsa di cui non possiamo fare a meno. Ce ne rendiamo sempre di più conto oggi, di fronte al cambiamento climatico».

L’evento sismico del 2016 ha segnato un momento molto delicato. «All’inizio il cambiamento non sembrava forte perché la gioia di essere vivi e l’attenzione dei media ha avuto un effetto anestetizzante. Con l’arrivo dell’inverno abbiamo però vissuto una solitudine tremenda: non c’era più il territorio e la sera che calava senza la presenza di luci sembrava riportarci in un’epoca “preistorica”. Questa situazione, invece di farci allontanare dalle nostre terre, ci ha legato ancora di più ad esse, facendocele sentire come qualcosa che dovevamo difendere e tenere caro».

Parlando della situazione attuale, Sandra sottolinea un problema che ricorre tra le popolazioni colpite dal sisma, quello della disgregazione sociale. «In questo momento i rapporti tra di noi stanno un po’ vacillando; siamo tutti delusi, arrabbiati e sconfortati. Gli anziani hanno poche speranze di vedere la ricostruzione e vivono in una condizione che non ha più passato né futuro».

«Questa indefinitezza genera disagio sociale, ognuno di noi ha dentro un dolore e questo incattivisce le persone. I sentimenti lavorano per conto loro, indipendentemente dalla razionalità e la pena di raccontare quanto andato perduto, oltre ad essere molto difficile, ci fa diventare più brutti e cattivi». Ciononostante, Sandra ricorda l’affetto e la tanta solidarietà ricevuta, ponendo l’attenzione sul potere salvifico dell’amicizia.

Per quanto riguarda il futuro, la speranza è riposta nel rilancio del territorio attraverso nuove politiche ambientali e turistiche. «La bellezza della natura è la cosa che ci salva, è il valore aggiunto. Mentre attendiamo la ricostruzione, i cui processi sono ad oggi ancora poco chiari, cerchiamo di avere cura dell’ambiente che ci circonda, seminando piante e fiori perché è sempre meglio vivere in un posto bello».

In questa situazione di certo non facile, persone come i quattro amici della cooperativa Rinascita ‘78, attraverso la loro costante presenza, gettano un faro di positività, dimostrando che l’ottimismo della volontà può davvero portare a qualcosa di buono.

La nuova vita del B&B di Illica: «Arrivano a portarci forza, se ne vanno fortificati»

I racconti di coraggio, la forza di volontà e la speranza verso il futuro sono elementi che il tragico evento del sisma non è riuscito a distruggere: per questo è importante metterli in risalto e raccontarli per comprendere come siano le persone, a fare realmente la differenza.

Riapre tra le difficoltà ma con una grande tenacia il Bed and Breakfast “Lago Secco” di Illica, gestito dai fratelli Davide e Clementina Carosi.

«Il B&B nasce nel 2001 – racconta Clementina – ed è stato il primo della provincia di Rieti nel territorio dei monti della Laga. L’idea parte dal fatto che, soprattutto d’estate, arrivava sempre qualcuno che chiedeva una stanza quindi, avendo una casa grande, abbiamo deciso di avviare l’attività».

Da allora i proprietari hanno portato avanti il loro progetto, apportando una serie di migliorie volte ad una maggiore fruibilità della struttura. «Nel 2016 avevamo praticamente finito, gli ultimi lavori erano stati fatti il 12 agosto, mancava solo la parte esterna…invece solo pochi giorni dopo, con il terremoto sono finiti i sogni».

«Non ci siamo mai arresi», afferma lapidaria Clementina, descrivendo come, fin da subito, insieme a Davide si siano attivati per capire come riaprire.

«Ci abbiamo messo quasi due anni ma ad aprile 2019, tra moltissime difficoltà, ci siamo riusciti». Ora la struttura sorge su cinque casette localizzate su quello che era il giardino della casa e ognuna di esse corrisponde ad una stanza del precedente B&B.

«Dal momento che la casetta per l’accoglienza risultava essere troppo piccola, con qualche sacrificio ci siamo inoltre attrezzati per acquistare una tensostruttura. Ma ora bisogna trovare una nuova soluzione per l’inverno perché la plastica non regge neve e freddo».

Nonostante gli ostacoli, Davide e Clementina sono ottimisti rispetto al futuro: «Speriamo si possa andare avanti senza troppi intoppi cercando di mantenere quello che abbiamo, e migliorandolo. Da quando abbiamo riaperto è andata discretamente bene, il “Cammino delle Terre Mutate” ha portato tanta gente, abbiamo avuto più di cento presenze dall’apertura, con due picchi di sessanta persone».

Proprio in merito all’esperienza del “Cammino delle Terre Mutate” i due fratelli sembrano essere molto sensibili, tanto da raccogliere i pensieri dei pellegrini in un quaderno che, nel futuro, potrà trasformarsi in libro. «È interessante il motivo per cui lo percorrono: è un cammino che nasce dalla solidarietà. Molto spesso nessuno si rende conto della situazione reale di questi luoghi ma chi fa il cammino per intero affronta delle tappe molto problematiche nelle quali mancano addirittura le strutture o i punti di ristoro».

Dare accoglienza a queste persone significa molto e sancisce un legame che va oltre la mera dimensione lavorativa, perchè «le persone che vengono qui molto spesso dicono che il loro obiettivo era quello di infondere coraggio a noi, ma quando se ne vanno, quelli fortificati da noi risultano essere loro».

E di forza Davide e Clementina ne hanno davvero tanta, un po’ come “l’albero della rinascita” che sorge nel loro giardino che continua a fruttificare nonostante la corteccia danneggiata. Hanno deciso di non abbandonare la loro terra natia, continuando ad investire su quel territorio tanto bello quanto fragile, pronti ad accogliere ogni viandante con un caloroso sorriso di benvenuto.

Alberta riapre il ristorante di famiglia: «È stato come tornare a vivere»

Una bella storia, fatta di forza e di coraggio quella della signora Alberta Perilli che, lo scorso 15 giugno, ha riaperto la sua storica attività.

Il ristorante “Da Santino”, infatti, rappresentava un punto di riferimento importante per tutte le persone che si dirigevano ad Amatrice, poiché sorgeva proprio alle porte del paese, pronto ad accogliere tutti con un caloroso benvenuto.

La struttura, su cui ancora oggi sono visibili le insegne informative, è stata distrutta dalla scossa sismica del 30 ottobre 2016, ma è riuscita a rifiorire tre anni dopo, dislocata nella frazione di Santa Giusta, grazie alla tenacia di una grande donna che, alla bella età di 75 anni e nonostante le tante difficoltà, non si è mai arresa.

La signora Alberta ha ereditato l’attività di ristorazione dalla sua famiglia e racconta come le licenze per esercitare il mestiere si susseguano da ben tre generazioni, a testimonianza della grande passione che muove la sua cucina.

La perdita del locale a seguito del terremoto ha rappresentato dunque un tragico momento durante il quale dove sarebbe stato fin troppo facile perdersi e sentirsi smarriti e disperati.

Eppure, l’infaticabile Alberta Perilli non ha mai perso la speranza e, con l’aiuto dei suoi figli, è riuscita a ripartire.

L’iter non è stato di certo dei più semplici. Di fatto, ci sono voluti due anni per le pratiche burocratiche e cinque mesi per la realizzazione dello stabile, ma la gioia della nuova apertura è stata grande, forse ancor più grande di come sarebbe stata senza aver superato ostacoli che sembravano insormontabili.

«Per me questa inaugurazione ha significato tornare a vivere» dice Alberta, sottolineando come il suo lavoro sia volto soprattutto alle generazioni future, perchè possano riflettere sul fatto che «se sono ripartita io che non sono più giovanissima, possono a maggior ragione trovare loro il coraggio di andare avanti».

Un esempio di attaccamento al territorio attutato anche attraverso la scelta di inglobare nel suo staff alcuni giovani del luogo, nel tentativo di arginare il fenomeno dello spopolamento, nonchè un vero e proprio atto di coraggio, accolto dai compaesani con entusiasmo: «chi è rimasto ha trasmetto un bel segnale perché non si è arreso».

«Tutti i vecchi clienti – racconta Alberta con gioia – sono tornati, e la maggior parte di loro lo ha fatto portandomi dei doni, sono davvero commossa».

Così, le tante paure che l’attanagliavano, come l’incertezza sul ritorno dei clienti, la difficoltà nel trovare personale e l’adattamento ad un nuovo ambiente, sono state spazzate via dalla consapevolezza che Amatrice può ripartire, può farcela, «se tutti noi commercianti ricominciamo poco a poco a rialzarci, significa che abbiamo ancora qualcosa da offrire a questo territorio».

Una visione del tutto ottimistica del futuro da parte di una persona che nella vita ne ha passate tante, anche prima del terremoto. «Ma ora sono ripagata dall’affetto, e questo mio entusiasmo lo devo alle tante persone che mi sono state vicino nei momenti di difficoltà, in particolar modo quelle incontrate al Centro Caritas».

Anche nel pieno dell’emergenza, la signora Perilli ricorda come la passione per il suo mestiere l’abbia salvata. Mentre viveva in una casetta su ruote, ha continuato infatti a cucinare per i frati, per i volontari e per tutte le persone che si univano alla mensa: «Cucinare era un modo per tenerci uniti e non farci pensare alle cose negative».

Certamente, non è mai facile lasciare i luoghi in cui si è nati e lo è ancora di più per le persone di una certa età. Per questo, la storia di rinascita del ristorante “Da Santino” rappresenta un esempio di sensibilizzazione per le verdi generazioni, affinché trovino la forza di investire in questi luoghi e li valorizzino con idee ed energie giovani rinnovate, a partire dall’esempio dalla cordialità e il sorriso di Alberta, sorgente continua di sentimenti positivi.

Daniele Mosca e il suo gelato: «Riparto con una nuova sfida»

Daniele è un gelatiere, nato e cresciuto ad Amatrice, ma non un gelatiere qualsiasi, bensì il vincitore della finale Italiana dell’ultima edizione del “Gelato World Tour”, menzione speciale alla finale mondiale.

Ma questo è avvenuto nel 2017 ed è, nella vita di Daniele, un nuovo inizio, prima c’è, come si intuisce, una lunga storia. Ad Amatrice, proprio sotto la torre, c’è Luciano, un vecchio gelatiere amico di famiglia, che nel 2001 gli offre di rilevare la sua attività.

Egli, nonostante si sia appena diplomato perito informatico, accetta e oltre che l’attività, il maestro gelatiere gli “vende tutto il suo sapere” insegnandogli “tutti i segreti del mestiere”.
Sotto la sua guida Daniele diventa un bravissimo e apprezzato artigiano, prepara un gelato di grande qualità utilizzando ingredienti naturali e «pochi zuccheri, se possibile anche uno solo».

Il suo must, tra i tanti gusti che offre ai clienti, è lo “zabaione semifreddo”. Era proprio per degustare questo gelato che molte persone facevano anche tanti chilometri oppure l’ultima tappa prima di tornare a Roma.

Le cose vanno sempre meglio e il carattere di stagionalità dell’attività gli lasciano anche il tempo, durante l’inverno, di curare hobby e affetti, in particolare la sua relazione con Stefania, iniziata nel ’98 e dalla quale nel 2016 nasce Leonardo. È l’occasione per preparare una grande festa, invitare amici e parenti ufficialmente per il battesimo del figlio, per poi sorprenderli anche con la cerimonia del loro matrimonio.

La data fissata è l’undici settembre, è tutto pronto, ricevimento, fedi e bomboniere. Poi «è successo quel che è successo, è venuta giù tutta Amatrice con tutto quello che avevamo», «nell’intermezzo della vita, ti manca la vita».

Nei giorni immediatamente successivi al terremoto, Daniele e la sua famiglia rimangono ad Amatrice ma poi decidono di trasferirsi prima a Perugia e poi a Foligno dove sono tutt’ora.
All’inizio prevale lo sconforto e l’idea che tornare a fare il gelatiere sia impossibile e invece a dargli lo stimolo a ricominciare è, nell’ottobre 2017, il concorso mondiale “Gelato World Tour” del quale vince la finale italiana, qualificandosi per la finale mondiale nella quale ottiene una menzione speciale con un gelato preparato con ingredienti tutti locali: ricotta di pecora variegata con miele di castagne e noci.

A Pasqua 2018 ricomincia l’attività nel centro commerciale “Il Triangolo” tornando ad Amatrice ogni mattina. Per tutta una serie di ragioni le cose non vanno benissimo, ma Daniele non si arrende e cerca in ogni modo di tornare a vendere il suo gelato anche con un truck, frutto per lo più della solidarietà dei colleghi gelatieri.

Oltre questo cerca di darsi anche un nuovo progetto imprenditoriale, diventare cioccolatiere. Si mette a studiare, frequenta corsi, punta di nuovo sulla qualità, cerca sostegno e lo trova nella CNA e in due bravissimi professionisti Andrea e Pierpaolo.

Il progetto è ancora in fase di elaborazione, ma intanto domani, sì proprio domani, in occasione della riapertura per la nuova stagione, oltre che il gelato, potrete acquistare e gustare anche i primi prodotti del cioccolatiere: le uova di Pasqua con una sorpresa speciale!

Si ringrazia la Cna di Rieti